< Torna alla categoria

Il dramma messicano all’alba dell’intervento celestiale

Arte e Cultura27 Maggio 2019
Testo dell'audio

Il Rettore dell’Università Cattolica “Lumen Gentium” dell’arcidiocesi del Messico e postulatore della causa di canonizzazione di Juan Diego, tratteggia il contesto in cui avvennero le apparizioni della Madonna di Guadalupe, chiave di svolta della storia dell’evangelizzazione americana (tratto dalla relazione al Convegno Internazionale “Il Beato Junipero Serra e l’Evangelizzazione delle Americhe”, tenuto a Genova il 5 giugno 2004 al Serra Club International).

Mentre il movimento protestante metteva in crisi l’Europa centrale, il popolo spagnolo si manteneva interamente cattolico, fedele alla Chiesa e difensore di Cristo giacché, grazie a Lui aveva riconquistato il suo territorio. In questo modo, la Spagna percepiva come sua missione l’essere punta di lancia della Cristianità per tutti i popoli.

Dalla Riconquista alla Conquista

Come paladino di Cristo, il popolo spagnolo passò dalla Riconquista alla Conquista. Come ha affermato Francisco Hernández de Gómara: «La cosa più grande dopo la creazione del mondo e la morte di Chi lo creò, è la scoperta delle Indie. (…) Mai una nazione si è estesa tanto come quella spagnola, con i suoi costumi, la sua lingua e le sue armi; mai una nazione è andata così lontano per mare e terra, con le armi sulle spalle. (…) Finita la conquista dei mori, è iniziata quella degli indios, affinché gli spagnoli continuassero a guerreggiare contro gli infedeli».

Dall’altra parte del mondo c’erano due immensi imperi, il Tahuantinsuyo e il Tlatocayotl, vale a dire l’impero Inca e l’impero Azteco. Venticinque anni dopo la scoperta dell’America, nel 1517, Francisco Hernández de Córdoba scoprì ufficialmente le terre messicane. Ma fu solo con Hernán Cortés, nel 1519, che l’esplorazione divenne una grande conquista.

Agli inizi del secolo XVI, l’impero Azteca era un aggregato di 23 milioni di cittadini di differenti tribù, molte delle quali odiavano gli aztechi per i loro costumi sanguinari. Questo veniva dal fatto che gli aztechi si ritenevano chiamati a preservare la vita del mondo, alimentandola con i cuori e il sangue ottenuti dai prigionieri delle cosiddette “guerre fiorite”; prigionieri che venivano sacrificati ritualmente, a cui veniva strappato poi il cuore per offrirlo come pasto agli dei, preservando così il ciclo della vita.

Gli indigeni erano convinti, data la loro mentalità religiosa, che avrebbe dovuto compiersi una delle profezie più importanti e determinanti della loro esistenza. In sintesi, questa profezia diceva che un capo-dio chiamato Quetzalcoatl (serpente con piume) sarebbe riapparso dall’Oriente. Curiosamente, questo dio aveva le stesse caratteristiche degli europei: bianco, barbuto, navigando su strane navi. Vedendo gli spagnoli, gli indios erano convinti di essere testimoni della realizzazione di questa profezia.

In solo due anni, dal 1519 al 1521, contro ogni aspettativa umana, gli spagnoli conquistarono l’impero azteca. Hernán Cortés, uomo di guerra, discretamente colto e militarmente religioso, secondo il modello dell’epoca, con un impressionante carisma di leadership, utilizzando astuzia e abilità penetrò fino al cuore dell’impero, stringendo alleanze con le tribù sottomesse dagli aztechi. Approfittando della famosa profezia dell’arrivo del dio buono Quetzalcoatl e dell’uso dei cavalli, sconosciuti agli indios, unificò molti popoli sotto il suo comando. Ecco la chiave della conquista, insieme alle malattie, come la scarlattina, che uccise quasi la metà della popolazione indigena.

Una duplice crisi di coscienza

Il dramma vissuto dagli indios con questa sconfitta non consistette solo nel crollo della struttura militare, sociale, economica, politica, ecc., dell’impero, ma anche nel crollo della struttura religiosa, che dava senso alla loro esistenza. La tremenda depressione al cospetto dei loro stessi dei fu un dramma impareggiabile, visto che l’atteso dio buono Quetzalcoatl aveva seminato rovina e morte. Non c’erano più sacrifici umani né cuori per cibare gli dei e, ciò nonostante, il ciclo della vita continuava senza grandi problemi. Gli astri continuavano il loro movimento, svolgendo le loro solite funzioni come se niente fosse.

Erano state sacrificate milioni di vite umane e adesso si rendevano conto che non era servito a niente, assolutamente a niente. Allora, tutto ciò non sarebbe stato in fondo un’infame presa in giro degli dèi? La depressione fu così profonda che alcuni indios optarono per il suicidio. Allo stesso tempo, però, non erano nemmeno pochi gli spagnoli che presentavano una crisi di coscienza, domandandosi quanto fosse cristiano conquistare un territorio che non apparteneva loro, facendo man bassa di beni altrui, giungendo perfino a schiavizzare i loro proprietari.

Questo problema era fortemente messo in risalto non solo dai missionari ma anche dagli spagnoli di retta coscienza. Vi furono al riguardo perfino lunghe discussioni nell’Università di Salamanca. Le discussioni sulla giustificazione dell’invasione e la presa di beni altrui furono molto aspre, sollevando perfino dubbi sulla razionalità degli indios. Alcuni arguivano che se gli indios non dimostravano di essere umani, allora si poteva prendere i loro beni. Inoltre, la loro “adorazione” di idoli li faceva diventare “colpevoli”.

Prima evangelizzazione

I primi francescani arrivarono in Messico nel 1523: due sacerdoti e un frate. Per colmo del malaugurio, i due sacerdoti morirono prematuramente. Nel 1524 arrivarono i cosiddetti “primi dodici francescani” o “dodici Apostoli” i quali iniziarono la strutturazione della Chiesa in maniera ufficiale, una Chiesa missionaria per vocazione. I francescani, uomini santi e saggi secondo l’epoca, cercavano di evangelizzare in accordo con i concetti e la teologia di allora, considerando l’urgente bisogno di salvare le anime degli indios dalle grinfie del demonio, manifestantesi tramite i loro dei.

Senza pretendere di sminuire o sdegnare il lavoro di questi santi uomini, che in realtà erano il meglio che aveva prodotto una Spagna debitrice di Gesù Cristo, difensore della Sua Chiesa e missionaria militante, dobbiamo domandarci: cosa rappresentava questo stuolo di missionari di fronte a milioni di indios, di fronte a distanze immense, a lingue sconosciute, a mentalità e culture così diverse? Le conversioni avvenivano, certo, ma solo in minima parte.

Dobbiamo poi considerare i problemi interni agli spagnoli, che arrivarono a tal grado di livore che il primo vescovo di Messico, padre Juan de Zumárraga, cosciente che non vi era nessuna soluzione umana, nel 1529 scrisse al Re: «Mi sembra doveroso informare la Vostra Maestà Serenissima che le cose che qui succedono sono di tale monta, in tal modo che se Dio non rimedia con la Sua mano,  siamo sul punto di perdere totalmente questa terra». È in questo drammatico contesto che avvenne appunto il risolutore intervento divino, che aprirà per sempre le porte della Grazia e della civiltà a decine di milioni di indios e ai loro discendenti: le apparizioni mariane di Guadalupe.

Questo testo di don Eduardo Chàvez Sànchez è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

Da Facebook