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Don Giovanni d’Austria, il vincitore di Lepanto

Arte e Cultura01 Aprile 2019
Testo dell'audio

«Porto con me Dio in questa missione, perché la consideri sua, come di fatto lo è, e perché mi aiuti con miracoli, perché se non li compisse, non so come potrebbe tornare in vita un corpo che ha l’ultimo respiro sulle labbra».

Così diceva nel 1576 don Juan de Austria in un periodo difficile, cinque anni dopo la Battaglia di Lepanto, battaglia della quale era stato figura di spicco in quanto comandante delle flotte della Lega Santa che avevano sconfitto le forze musulmane dell’Impero Ottomano.

La vita

Don Giovanni d’Austria nacque a Ratisbona il 24 febbraio del 1547, da una relazione dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo con una albergatrice, Barbara Blomberg. Figlio illegittimo, non fu inizialmente riconosciuto dal padre e fino all’età di tredici anni visse nella famiglia del maggiordomo reale don Luis Quijada, al quale era stato affidato con il nome di Jerónimo. Si legò molto alla sua madre adottiva Magdalena de Ulloa, che chiamava zia. Carlo V lo legittimò prima di morire e lo affidò a Filippo II, suo figlio e successore, che subito lo riconobbe come fratellastro, ribattezzandolo don Giovanni d’Austria e nominandolo eccellenza.

Da questo momento la sua vita trascorse nella corte spagnola dove portò a termine la sua formazione nell’Università di Alcalá. Qui studiò filosofia, storia, lingue classiche, geografia e letteratura. Filippo II cercò di indirizzare il suo fratellastro alla vita ecclesiastica, ma non ci riuscì perché don Giovanni era attratto dalla vita militare. Nel 1565, quando fu informato dell’assedio di Malta da parte dei turchi, avrebbe voluto partire al soccorso dell’isola ma gli fu impedito dallo stesso re.

Intrapresa la vita militare e nominato capitano generale delle galere, concluse i suoi vari incarichi, tra cui la lotta contro i corsari barbareschi e la repressione della ribellione dei moriscos. Fu così che arrivò il momento più importante della sua vita. Ormai già famoso, fu posto al comando delle flotte cristiane nella Battaglia di Lepanto. Aveva appena 26 anni.

Con la vittoria sui turchi ebbe inizio il periodo più glorioso della sua vita nel quale provò ad ottenere da Filippo II il titolo di “infante” e un regno personale. Il Re lo nominò governatore dei Paesi Bassi Spagnoli nel 1576. Qui Don Giovanni poté incontrare per la prima volta, la sua vera madre, solo poco tempo prima di morire.

Nonostante la sua fedeltà, la fiducia di Filippo II nei suoi confronti andò diminuendo e solo dopo la sua morte, che avvenne nel 1578 (di lui si disse che «aveva vissuto molto in poco tempo»), Filippo II comprese quanto gli era stato fedele. In sua memoria fece celebrare fastose onoranze funebri e ordinò che fosse seppellito nell’Escorial vicino a suo padre.

La sua morte, al tempo, si disse che avvenne per “modorra”, che era la diagnosi usata quando non si riusciva a conoscere da cosa fosse stata causata la morte. In seguito si pensò che fosse stato colpito da tifo esantematico o dissanguato a causa dell’incisione di un’emorroide. Si pensò anche a un avvelenamento. Dopo la sua morte ebbe inizio una mitizzazione della sua figura e di alcuni suoi aspetti. Si parlò della sua bandiera crociata, sulla quale era scritta la frase: “In hoc signo vici turcos, in hoc signo vincam Haereticos”. Si parlò anche del simbolo del fulmine da lui adottato.

Miguel de Cervantes si vantò di aver combattuto nella Battaglia di Lepanto «sotto le insegne del figlio del fulmine della guerra».

Contraddizioni, ma grande amore a Cristo

La figura di don Giovanni presenta una grande complessità. Egli fu sia un peccatore (giocatore e donnaiolo) che un grande credente: aveva una particolare devozione per Cristo crocifisso e per la Madonna di Loreto.

Nella Battaglia di Lepanto volle portare un suo crocifisso, salvato da un incendio anni addietro, che chiamava “il Cristo delle mie battaglie”; e una volta a sua sorella, che l’attendeva a Genova, scrisse che non sarebbe venuto perché prima di tutto voleva recarsi a visitare «nostra Signora di Loreto, alla quale l’ho promesso e lo devo».

Nutriva un grande rispetto e una grande fede per i sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia, infatti a termine della Battaglia di Lepanto fece celebrare la Messa dello Spirito Santo.

In epoca contemporanea la sua figura è stata trattata da Louis de Wohl, scrittore di romanzi storici, ne L’ultimo crociato. Così il de Wohl dice di lui: «Era tale il potere della sua personalità che, non appena proseguiva oltre, gli uomini giuravano che avrebbero combattuto fino alla morte, dimenticando le stupide contese di poco prima».

 

Questo testo di Michele Biancardi è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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