Valtellina, terra di Restaurazione

L’incanto delle dolci valli, protette da monti imponenti, non ha impedito nel XVI secolo di trasformare la Valtellina in luogo di feroce scontro tra le violenze degli eretici protestanti e la tenace fede cattolica, pronta al martirio pur di poter restituire queste terre alla Restaurazione cattolica, anziché alla cosiddetta “riforma”.
«Voltolina, com’è detto, valle circondata d’alti e terribili monti, fa vini potenti et assai, e fa tanto bestiame, che da’ paesani è concluso nascervi più latte, che vino»: Leonardo da Vinci tratteggia così, negli appunti noti come Codice Atlantico, le dolci valli e le aguzze montagne della Valtellina, feconda di frutti della terra e ricca di docili armenti, ridente e generosa, protetta dalle Alpi e beneficiata da fertili terre.
Ciò che tuttavia non emerge dall’affresco del genio del Rinascimento è la situazione politica e sociale, che, pur nella propria assoluta lungimiranza, Leonardo non sarebbe certo riuscito ad immaginare, eppure delineatasi pochi anni dopo la sua morte: quei luoghi ameni sarebbero stati infatti presto incendiati dal conflitto, che vide combattere su opposti fronti cattolici e protestanti lungo gli impervi calanchi e i rigidi inverni alpini.
Agli inizi del XVI secolo, tutta la penisola italiana era alla mercé delle invasioni spagnole, francesi e imperiali: calati da Oltralpe, prima Carlo VIII e poi Luigi XII fecero delle regioni settentrionali un teatro di guerre continue e sanguinose, che permisero agli svizzeri dei Grigioni di occupare la valle lombarda, ufficialmente annessa al cantone meridionale con il Giuramento di Teglio, nel 1512.
L’avanzare dell’eresia
L’eresia riformata avrebbe di lì a poco contaminato le menti e la fede di molti elvetici: a Zurigo e a Ginevra si trovavano infatti i maggiori centri di produzione e predicazione delle idee eterodosse propugnate da Huldrich Zwingli, Giovanni Calvino, Teodoro di Beza e dai loro seguaci, che furono presto esportate anche nel nuovo territorio conquistato.
Numerosi cristiani abbracciarono dunque, a forza o con convinzione, la confessione riformata: sorsero comunità autonome, giunsero pastori protestanti, magistrati e ufficiali governativi convertiti e fu avviata dai Grigioni una politica che usasse la confessione calvinista come mezzo per favorire il divario anche culturale tra la Valtellina e la Spagna, proprietaria del limitrofo Ducato di Milano e modello di ortodossia e fedeltà alla Chiesa romana in quel momento terribile per la Nave di Pietro.
Un rifugio per eretici
Le remote e inaccessibili valli fornirono un sicuro rifugio ad eretici italiani come il francescano Paolo Ricci e questa roccaforte naturale diede modo agli svizzeri di stampare e propagandare impuniti materiale eretico in tutta la penisola; la Chiesa, di contro, reagì inviando infiammati predicatori e sinceri evangelizzatori, martiri di Cristo come l’arciprete Nicolò Rusca, recentemente proclamato beato e strenuo oppositore del dilagante credo, protagonista di una disputa sull’Eucarestia a Piuro, il quale offrì la propria vita in un ennesimo esempio di fides allorché, allo scoppio della guerra dei Trent’anni fra Asburgo e principi tedeschi protestanti, anche il conflitto religioso e politico locale si acuì.
Per oltre settant’anni i Grigioni impedirono al vescovo di Como, nella cui diocesi rientrava e rientra tuttora la valle, di visitare le comunità e di amministrare la Cresima ai bambini valtellinesi: narrano le cronache che nel febbraio del 1614, 1200 cattolici della Val Poschiavo dovettero camminare più di dieci miglia, esposti al freddo e alle intemperie, per ricevere il sacramento della Confermazione dalle mani del vescovo comasco Filippo Archinti, al quale era stato impedito l’accesso alle montagne.
Nel 1589 fu eccezionalmente permesso al domenicano Feliciano Niguarda di Morbegno, pastore della diocesi, di compiere una visita pastorale nella valle, di cui lasciò una dettagliata descrizione, dalla quale emergono la capillare presenza protestante e le vessazioni nei confronti della parte cattolica, resa minoritaria.
San Carlo Borromeo si adoperò in prima persona perché le anime potessero salvarsi, visitando personalmente la Valtellina ed incitando alla pace: il suo appello, tanto accorato quanto necessario, cadde però nel vuoto quando il Ducato di Milano, desideroso di appropriarsi della valle per avere un transito diretto verso l’Austria, nel 1620 armò un gruppo di facinorosi, che massacrarono oltre seicento riformati a Teglio e Tirano. Dopo questo tragico evento, gli animi a poco a poco si spensero e ai cattolici fu lasciata la tanto agognata piena libertà di culto.
Una fede reazionaria
Di questo prospero periodo restano note le visite del vescovo Giambattista Albrici e la presa di posizione antielvetica degli abitanti all’alba della Restaurazione: i valtellinesi inviarono infatti al Congresso di Vienna due rappresentanti per portare la propria voce e volontà di unione alla Lombardia cattolica, sotto l’egida sovrana dell’Impero austro-ungarico. Oggi questo passato di fede tenace e storia reazionaria, in tutta la positività del termine, deve rimanere noto e presente alle coscienze e servire da esempio per evitare i sussulti di cieco progressismo e decadenza della Tradizione: un contesto di valori, religiosità, attaccamento alle leggi naturali e rispetto dell’ordine delle cose da non dissipare nell’odierno vortice mondano.
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Questo testo di Lorenzo Benedetti è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it