V domenica dopo Pentecoste

Se la vostra giustizia non sarà stata più grande di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli
Con tutte le Sue parole, Nostro Signore ci insegna come entrare nel Regno dei Cieli. Una delle lezioni che spesso ci insegna è che la correttezza esteriore non è sufficiente senza la conversione del cuore. Al mattino di Pasqua, santa Maria Maddalena Lo scambiò per un giardiniere. Non aveva tutti i torti: Egli è il giardiniere dell’anima e desidera non solo emendarci da questa o quella cattiva azione, ma sradicare le cattive passioni che affondano le radici in noi. Oggi è il turno della passione dell’ira.
Nella vita dei Padri del deserto si narra di un giovane monaco che sembrava fare grandi progressi nella vita monastica. Trascorreva molte ore in preghiera, osservava rigorosamente tutti i digiuni e subito si levava quando era ora di alzarsi nel cuore della notte. Aveva un solo problema nel monastero: le colpe degli altri monaci spesso lo irritavano. Li trovava tutti molto imperfetti: alcuni erano poco educati, altri erano stupidi, altri ancora mancavano di devozione. In effetti, spesso lo irritavano a tal punto da pensare che la sua vita spirituale fosse in pericolo. Così, questo giovane monaco alla fine andò dal suo abate e, dopo aver spiegato il problema, chiese il permesso di andare a vivere da eremita in una grotta a qualche miglio dal monastero, dove potesse stare in pace; e l’abate gli diede il permesso.
La mattina dopo, molto presto, partì per la grotta e trascorse lì la giornata da solo, pregando, leggendo e intrecciando ceste, un lavoro che i monaci a quel tempo eseguivano spesso. Si sentiva felice di essere libero dal fastidio causatogli dagli altri monaci. All’ora nona del giorno cominciò a preparare il suo pasto. Mise sul fuoco una pentola di terracotta piena d’acqua, ma quando l’acqua cominciò a bollire, la pentola cadde. Allora, la raccolse, la riempì d’acqua e la rimise sul fuoco. Poco dopo, appena l’acqua si riscaldò, la pentola cadde di nuovo e lui la rimise a posto. Poi solo pochi istanti dopo, quando l’acqua tornò a bollire, cadde per la terza volta. Il monaco allora la raccolse e gridò: “Oh, stupida pentola”, e la scagliò contro il muro della caverna. E mentre si frantumava in mille pezzi, il monaco rientrò in sé. Immediatamente capì che il male che tante volte lo aveva fatto adirare nel monastero era in lui, e non negli altri. Al calar della notte, tornò al monastero, e lì fu accolto dall’abate, che lo stava aspettando.
Come mostra questa storia, l’ira nasce spesso dall’orgoglio, cioè dal desiderio disordinato della propria eccellenza. Il giovane monaco desiderava avere successo nella vita spirituale, e così si adirava con ciò che rendeva più difficile il suo cammino. Per questo Nostro Signore ci parla dell’ira: spesso è segno di orgoglio, e nessun orgoglioso può entrare nel Regno dei Cieli.
Notate che Egli ci parla di tre livelli di ira. In primo luogo, c’è un’ira puramente interna. Chiunque si adira col fratello sarà condannato in giudizio. È il caso di una persona che si risente con il suo fratello, ma riesce a tenere per sé i suoi sentimenti. Ma è ancora passibile di giudizio. Forse quando verremo giudicati, vedremo quanto spesso i nostri sentimenti di ira erano irragionevoli: per esempio, quanto spesso ci siamo adirati con altre persone perché facevano cose per le quali – quando le facevamo noi – ci scusavamo.
Il secondo livello di ira è quando si manifesta esteriormente, in qualche esplosione di rabbia verso il fratello. Chi avrà detto a suo fratello: raca, sarà condannato nel concilio. Cosa significa questo? Raca è una parola aramaica che esprime “indignazione”. Ma il concilio, per gli ascoltatori di Cristo, era il Sinedrio, il più alto tribunale tra gli Ebrei. Il Sinedrio processava le persone per aver manifestato impazienza? Non sembra probabile. No, Cristo parla ancora del giudizio divino, dopo la morte, o nell’ultimo giorno. Come il sommo sacerdote dei Giudei ascoltava i casi più importanti a Gerusalemme, circondato dai settantadue anziani del Sinedrio, Nostro Signore verrà in giudizio alla fine del mondo, ci dice san Giuda, circondato dai Suoi Santi. E se abbiamo mostrato carità fraterna al nostro prossimo col sopportare le sue colpe, allora non saremo condannati nel concilio quando saremo giudicati, poiché avremo il favore di Cristo e dei santi. In altre parole, se vogliamo che i santi intercedano per noi quando saremo giudicati, dobbiamo essere pazienti con i nostri fratelli peccatori.
Il terzo livello di ira è il peggiore: arriva fino all’odio e al desiderio deliberato che accada qualcosa di male al nostro prossimo. Questo è un peccato mortale, poiché mette una persona in pericolo del fuoco della geenna.
Ma qui qualcuno potrebbe sollevare un’obiezione. Si potrebbe dire che l’ira non è sempre sbagliata, poiché a volte nel Vangelo si dice che Cristo si è adirato. Quando in giorno di sabato guarì l’uomo dalla mano inaridita, leggiamo in san Marco che guardò gli astanti tutt’intorno con ira, rattristato per la durezza dei loro cuori. Ma dobbiamo sapere che questa ira era diversa dalla nostra. A causa della nostra debolezza, l’ira è qualcosa che subiamo: essa tende a sopraffare la nostra ragione e a distorcere il nostro giudizio. È una forma di debolezza, per cui perdiamo il controllo di noi stessi. Per questo san Giovanni Bosco diceva ai suoi figli spirituali che, se mai avessero dovuto punire un allievo della loro classe, non avrebbero dovuto farlo quando erano arrabbiati, altrimenti lo avrebbero punito eccessivamente. Nostro Signore, al contrario, non subì l’ira. In Lui non era una passione che minacciava di turbare il Suo giudizio: era una risposta perfettamente pura e santa a un vero male.
Di per sé, quindi, l’ira non è un’emozione malvagia, ma è uno strumento che nessun uomo decaduto può scegliere di impiegare senza in qualche modo ferirsi. Ecco perché, anche se non pecchiamo necessariamente sentendola, non dobbiamo mai acconsentire ad essa. In questo senso, dice san Giacomo: l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio.
Nostro Signore, Che ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, vede che l’ira è uno dei principali ostacoli per entrare nel Regno del Padre Suo. Per questo dice: Imparate da Me, che sono mite e umile di cuore. La mitezza è ciò che guarisce l’infermità dell’ira. In questo mese del Sacro Cuore, dunque, diciamoGli: Gesù, mite e umile di cuore, rendi il nostro cuore simile al Tuo.