Ungheria cristiana: mille anni di civiltà e fede

Le radici cristiane dell’Ungheria sono trovano concreta espressione nella Sacra Corona di Santo Stefano, simbolo della storia drammatica e gloriosa del popolo ungherese.
«Il passato è la nostra speranza. Cristo è il nostro futuro»: così i vescovi ungheresi hanno ricordato, qualche anno fa, il millesimo anniversario dell’incoronazione di Santo Stefano. E le radici cristiane dell’Ungheria si concretano in un simbolo, tangibile e prezioso, costituito dalla Sacra Corona che, nel Natale dell’anno Mille, venne posta sul capo di Stefano, Re d’Ungheria e futuro Santo. Un avvenimento che suggellò la trasformazione di un’orda barbarica, terrore dei popoli cristiani, in un Regno della Respublica Christianorum, il quale – come ricordò Giovanni Paolo II in occasione dell’anniversario dell’incoronazione – sarebbe stato un «baluardo di difesa della cristianità contro l’invasione dei tartari e dei turchi».
Gli ungheresi accolgono la Chiesa
Un simbolo, la Sacra Corona donata da Papa Silvestro II, la cui straordinaria importanza è fortemente sentita dal popolo magiaro, tanto è vero che nei terribili giorni dell’invasione sovietica del 1956, il Cardinale Primate d’Ungheria József Mindszenty si rifugiò nell’ambasciata statunitense non senza portare con sé proprio la Corona di santo Stefano; più recentemente, il Parlamento di Budapest ha decretato che la stessa Corona e le insegne regali del fondatore della nazione ungherese fossero solennemente trasferite dal Museo Nazionale nella sede del Parlamento stesso con gli onori militari riservati al Capo dello Stato.
Un gesto altamente simbolico che ha dato sanzione civile alle affermazioni contenute nella citata lettera dell’Episcopato nella quale tra l’altro si legge: «La fede cristiana si è integrata talmente nella cultura, nelle tradizioni, nella moralità della nostra nazione, che è diventata chiave di interpretazione per la storia di mille anni. Le generazioni precedenti sono state sempre consapevoli che l’attaccamento alla fede e la devozione alla patria vanno insieme. La devozione alla patria è anche per noi un analogo obbligo che deriva dalla fede».
E l’Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Primate di Ungheria, il cardinal László Paskai, ha aggiunto: «Mille anni or sono, gli ungheresi aderirono alla civiltà cristiana europea. L’adozione del cristianesimo comportò un cambiamento del modo di vivere in cui ebbe un ruolo decisivo la Chiesa. Dopo la conversione ed il battesimo del popolo nomade che errava per mutare pascoli, costruì chiese e monasteri, che maestri ungheresi e stranieri abbellirono ed artisti di gran talento e fama arricchirono con meravigliosi arredi sacri. Nel nostro Paese ebbero buona accoglienza gli stranieri: trovarono dimora in Ungheria i religiosi degli Ordini dei Benedettini, dei Cistercensi, dei Francescani, i missionari italiani, tedeschi, francesi e bizantini che portarono al nostro popolo le prime nozioni e la forza della fede».
Il primate ha sottolineato anche come la Chiesa abbia dato al popolo ungherese assieme alla fede numerosi personaggi storici e scientifici di grande rilievo, unendo il Paese al resto dell’Europa, accomunata dalla cultura religiosa. Ma un tratto importante è stato l’aver portato in Ungheria la capacità di saper ricominciare. «Schiere nemiche invano devastarono il nostro Paese, la distruzione, fu sempre seguita dalla ricostruzione sia negli animi sia negli edifici. La Chiesa Cattolica è parte organica della vita di tutti i giorni: così fu nel passato, ai tempi delle persecuzioni, ed anche oggi nelle attuali condizioni democratiche».
Ricostruzione, ha detto il Cardinale. In effetti, durante il secolo appena trascorso, la nazione magiara ha conosciuto un’aggressione senza precedenti: il regime comunista ha tentato di estirparne la radice cristiana e con essa il senso stesso della sua esistenza storica.
Come altre nazioni d’Europa, l’Ungheria è oggi di fronte alla scelta tra la vita e la morte. Oggi ha di nuovo la possibilità di scegliere liberamente se riconfermare la propria vocazione cristiana, e mediante una nuova evangelizzazione partecipare alla costruzione di una nuova Cristianità, o disperdere l’eredità del suo passato nel magma indistinto della globalizzazione trionfante.
Gli ungheresi contro i turchi: la battaglia di Belgrado
Ma prima della guerra scatenata dal comunismo contro le radici cristiane dell’Ungheria, che vide rifulgere una figura grandiosa, quella del già citato cardinale József Mindszenty, altre vicissitudini hanno attraversato questa terra, vitale punto di frontiera contro l’impero ottomano.
La battaglia di Belgrado (1456) è uno dei numerosi, continui scontri che costellano la storia dei rapporti tra Europa e Stato turco, giunta in un momento cruciale, tre anni dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani di Maometto II. A tale battaglia sono legate due luminose figure: san Giovanni da Capestrano e Janos Hunyadi (Giovanni Corvino), noto in Italia come il Cavaliere Bianco (storpiando il suo diminutivo, in ungherese Janko).
Come accennato, Maometto II “il Conquistatore”, dopo aver preso Costantinopoli e aver messo fine all’Impero Romano d’Oriente, si era diretto contro Belgrado per creare in Serbia un avamposto contro la Cristianità. Tutte le maggiori potenze europee dell’epoca non poterono o non vollero intervenire; il Papa, che si trovava in ristrettezze economiche, non fu in grado di mandare truppe, ma incaricò sette frati di predicare la Crociata. A capo di questi era san Giovanni da Capestrano.
Incredibilmente – o miracolosamente – il Capestrano e i suoi, battendo a tappeto tutta l’Europa orientale, predicando in latino perché non conoscevano le lingue locali, riuscirono a radunare un esercito di decine di migliaia di volontari, molti dei quali senza alcuna preparazione militare. A questi si unì un contingente regolare di circa 10.000 ungheresi, comandati appunto da Giovanni Corvino. L’armata raggiunse Belgrado già sotto assedio, eludendo l’accerchiamento turco, e vi si trincerò dentro.
Dopo alcuni scontri d’assaggio, la sera del 22 luglio si innescò un combattimento tra un reparto cristiano uscito dalle mura e alcuni reparti turchi. Affluirono rinforzi da entrambe le parti, e si accese una furiosa lotta intorno ai cannoni turchi.
Il Capestrano, cogliendo il momento, lanciò un attacco generale levando alto il crocefisso e incitando i suoi con le parole di San Paolo: «Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento!». Infine gli Ungheresi caricarono con la fanteria pesante e lo schieramento turco cedette di schianto. Maometto II, colpito alla gamba da una freccia, perse i sensi; quando si riprese, la battaglia era ormai irrimediabilmente perduta, e i suoi cortigiani a stento lo trattennero dall’avvelenarsi.
Hunyadi, di antica famiglia valacca, veterano di molte battaglie contro i turchi (Semendria, Sibin, Kosovo), contro gli ussiti, combattente sotto le insegne imperiali, visconte di Ladislao III Jagellone, sopravvisse pochi giorni alla storica vittoria: ma due anni dopo, suo figlio Mattia sarebbe asceso al trono d’Ungheria con il nome di Mattia Corvino.
La Corona passa agli Asburgo: l’unione con l’Austria
Con Mattia Corvino (1458-1490) l’Ungheria visse un periodo di grande prosperità, nonostante la scarsa coesione degli Stati europei di fronte al pericolo ottomano. Riuscito ad arginare l’avanzata islamica, Mattia cercò di fare del suo regno il centro di un impero danubiano, ma i suoi successori, gli Iagelloni, non si dimostrarono all’altezza del suo sogno, nonostante per breve tempo riuscissero a unificare le corone boema, polacca e ungherese.
Dopo la prima battaglia di Mohacs (1526), in cui il Re ungherese Luigi II trovò la morte, Solimano il Magnifico poté penetrare nella regione: i conflitti dinastici tra fautori di una dinastia nazionale e sostenitori del patto dinastico che prevedeva il passaggio della corona magiara agli Asburgo favorirono la caduta di Buda nel 1541 (la città sarà liberata solo un secolo e mezzo dopo e la nazione si ritroverà con soli due milioni di abitanti, contro gli oltre quattro dei tempi di Mattia Corvino).
Grazie a Eugenio di Savoia i Turchi vennero definitivamente scacciati (la campagna si concluse nel 1699 con la Pace di Carlowitz) e il territorio fece nuovamente parte del Sacro Romano Impero sotto la guida asburgica. Nel 1867 l’importanza del suo ruolo sarebbe stata ulteriormente riconosciuta con la creazione della Duplice Monarchia e l’entità politica avrebbe preso il nome di Austria-Ungheria, destinata a crollare con la sconfitta della Prima Guerra Mondiale nel 1918 e l’abdicazione di Carlo I d’Asburgo.
Ungheria al bivio: ritorno alla Fede o negazione dei valori cristiani?
Dopo i turchi dell’età moderna, i comunisti del XX secolo: l’attacco alla Chiesa nell’Europa orientale è stato senza precedenti. Ed alla violenza comunista si è aggiunta se non l’omertà, il fastidio di certi ambienti ecclesiali “progressisti” che consideravano figure come Mindszenty un ostacolo testardo al dialogo sempre più compromissorio con il mondo comunista.
Nel 2000 il cardinale slovacco Jan Korec ebbe a dichiarare: «Se il comunismo fosse durato cento anni, la Chiesa nel nostro paese sarebbe sparita, come un tempo sparì nell’Africa del Nord». Oggi, trascorso (apparentemente) il pericolo comunista, si affaccia il nichilismo edonista di stampo liberale, ancor più pericoloso perché non si mostra con i carri armati sovietici, ma col sorriso del “progresso”.
Questo testo di Gianandrea de Antonellis è stato tratto dalla dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it