Un gigante di Dio: san Luigi Grignon di Montfort

San Luigi Maria Grignion di Montfort è una personificazione vivente del “Vangelo integrale” in una società frivola e bacata dal giansenismo. Egli nacque nel 1673 a Montfort in Bretagna, primogenito di una numerosa famiglia di piccola nobiltà, anche se priva di mezzi economici. All’indomani della nascita venne battezzato nella locale parrocchia dove tre secoli prima aveva predicato un altro grande santo, Vincenzo Ferrer, che predisse l’arrivo futuro in quelle terre di un «uomo di Dio, un poderoso missionario».
Luigi Maria, brillante studente dai gesuiti di Rennes, segue una educazione sul solco aristotelico della precisione e chiarezza che sarà alla base dei suoi innumerevoli scritti e delle sue omelie, in cui brillano sia la solida dottrina che la luminosa comprensibilità delle idee. Nell’ambiente dei gesuiti di Rennes germoglia nel futuro santo la sua ardente devozione a Maria. Qui si forma anche l’asceta, l’uomo che a suon di mortificazioni addomesticherà un carattere forte, rendendolo dolce e sereno. Spunta in lui l’artista che saprà con talento scolpire e disegnare, comporre poesie e cantici; dono che metterà al completo servizio del suo apostolato.
A Rennes nasce pure la determinazione di diventare sacerdote. I suoi compagni lo ammirano per una notevole preservazione dell’innocenza battesimale. Il suo migliore amico, padre Blain, scrive che «le sue inclinazioni sembravano tutte celesti (…) tutto quanto la virtù ha di più eroico, tutto quanto la perfezione ha di più sublime gli riusciva naturale (…) con una pace, una dolcezza e una tranquillità di animo che mai vidi alterarsi».
Il giovane Grignion di Montfort si avvia a piedi, rosario in mano, a studiare al seminario di Saint Sulpice a Parigi, allora fucina dei grandi ecclesiastici francesi. Sarebbe stato il più formidabile teologo se avesse proseguito gli studi alla Sorbonne, ci dice Blain, ma né la salute né l’impeto missionario glielo permisero. Conciliando in mirabile modo il desiderio di quiete contemplativa e un grande zelo missionario, il suo biografo p. Louis Le Crom, ci dice che così egli «inaugurava la sua carriera di profeta (…) percorrendo città e campagne col rosario e il bordone sovrastato dalla croce, fisionomia sorprendente e indimenticabile – grande naso aquilino e sguardi di fuoco sul volto oblungo –, corpo instancabile e tormentato, voce potente».
Un aspetto che incomincia a dispiacere a qualche presule amante del quieto vivere o proclive al giansenismo. Non passerà molto tempo che gli verrà proibito di predicare in quasi tutte le diocesi francesi. Egli scrive «ora il mio unico amico è Dio, gli amici di un tempo mi hanno abbandonato». Anche il p. Blain rimase disorientato davanti al «mistero» di p. Montfort «che mi gelò e mi impedì di unirmi a lui».
A poco a poco, approfittando di ogni porta che gli si schiude, il p. Montfort ricostruisce la sua attività apostolica. Decide recarsi a Roma per sottoporla al Vicario di Cristo, visto che «la Chiesa di Gesù Cristo è unica e vera perché è romana». Proveniente dalla Santa Casa di Loreto, percorre le ultime miglia scalzo e col viso bagnato dalle lacrime. Un futuro santo canonizzato, il teatino Giuseppe Tommasi, lo accoglie e lo mette in contatto con Clemente XI, che capisce subito di trovarsi davanti a un formidabile apostolo contro il giansenismo e il gallicanesimo che imperversano a nord delle Alpi, per cui lo nomina “missionario apostolico” in tutta la Francia e gli regala un crocifisso di avorio col privilegio dell’indulgenza plenaria per chiunque lo baci devotamente.
Il p. Montfort lo metterà in cima al suo bordone, con la scritta dell’indulgenza sotto, e lo porterà con sé fino all’ultimo giorno. Tuttavia, ciò non sembrò un ostacolo perché il vescovo di Poitiers gli desse ventiquattro ore per ritirarsi dalla sua diocesi cui era appena giunto proveniente da Roma. L’influenza dell’uomo di Dio non fa che crescere di giorno in giorno fra le popolazioni evangelizzate e ciò attira le gelosie e persino le ire dei suoi avversari, ecclesiastici e cortigiani. Queste si manifestarono quando, per esempio, eresse i suoi celebri “calvari”, cioè quelle notevoli costruzioni in pietra da lui concepite e realizzate con le fatiche dei suoi infervorati fedeli. Esse avevano per oggetto commemorare i misteri della Passione di Nostro Signore.
San Luigi Maria fonda, scrivendone le regole, due congregazioni religiose: la Compagnia di Maria (per sacerdoti, da noi chiamati montfortani) e le Figlie della Sapienza. Appena 43enne, logorato dagli sforzi sovraumani del suo apostolato, la morte lo sorprende il 28 aprile 1716 in una missione nel cuore della Vandea, dove oggi sorgono grandi monumenti in sua memoria. Tempo prima, nel 1712, si era raccolto a La Rochelle per comporvi il suo più grande lascito ai posteri, il celebre Trattato della Vera Devozione a Maria.
Un suo ardente devoto, Plinio Corrêa de Oliveira, scrisse nel 1945, all’indomani delle bombe atomiche lanciate in Giappone e dopo essere venuto a conoscenza dell’imminente canonizzazione dello straordinario missionario francese: «La Provvidenza si è decisa a sganciare la sua “bomba atomica” contro gli avversari della Chiesa. Nei confronti di questa “bomba”, le convulsioni di Hiroshima e Nagasaki non sono che innocenti sussulti. Da due secoli è pronta la “bomba atomica” del cattolicesimo. (…) Questa bomba ha un nome molto dolce, perché le bombe della Chiesa sono bombe materne. Si chiama Trattato della Vera Devozione alla Vergine Maria. Un libricino di poco più di cento pagine in cui ogni parola, ogni carattere, è un tesoro. È il libro dei tempi nuovi che dovranno venire». Sarà questo calore soprannaturale, da cui nessuno si potrà nascondere, che farà germogliare il trionfo del Cuore Immacolato di Maria, quel Regno di Maria così esplicitamente previsto e sospirato da san Luigi Grignion di Montfort.
Questo testo di Juan Miguel Montes è tratto da Radici Cristiane. Visita radicicristiane.it