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Tre storie diverse, ma tutte un inno alla vita

Zoom: una notizia alla settimana29 Maggio 2023
Testo dell'audio

Su di un tema tragico quale quello dell’aborto, è sempre motivo di conforto poter dare ogni tanto anche buone notizie. E raccontare, ad esempio, la storia vera, verissima di una donna, di una madre, che non ha dato retta all’arroganza di una “scienza” crudele e malata di delirio d’onnipotenza, permettendo così alla creatura, che teneva in grembo, di nascere. Con una grande sorpresa…

Vediamo i fatti, così come sono stati proposti dal sito australiano Kidspot: “Jodie”, così è stata identificata, è una 39enne. Era convinta che la sua recente gravidanza fosse anche l’ultima sua opportunità di avere un figlio, dopo i diversi aborti patiti purtroppo in passato. Ma, tenendo conto della sua età, del fatto d’essere una fumatrice e di altre statistiche, i medici le comunicarono che il rischio che la piccola nascesse con la sindrome di Down sarebbe stato altissimo. Inoltre, a seguito di un’ecografia realizzata a 30 settimane di gestazione, i sanitari dissero di «non riuscire a vedere» alcune parti del corpo della bambina: ad esempio, il setto pellucido ovvero la membrana cerebrale, il che avrebbe potuto provocare difficoltà nell’apprendimento e crisi epilettiche, l’assenza dei nervi ottici e l’assenza della ghiandola pituitaria. Così l’hanno incoraggiata ad abortire. Ma Jodie, tra rabbia, dolore e lacrime, ha detto no. Non avrebbe ucciso sua figlia.

Gli studi lo confermano, le indagini fetali non sono sempre certe, ampi sono i margini di errore. Inoltre, una probabilità non corrisponde ad una certezza. In un articolo, apparso su USA Today, l’ostetrica-ginecologa Christina Francis ha osservato come «circa il 9% delle diagnosi avverse di ecografia fetale si riveli sbagliato e questo solo tra i bambini, cui venga data una possibilità di vita. In alcuni casi, a seconda del metodo utilizzato, le anomalie fetali false positive raggiungono il 50%». Quanti, infatti, saranno stati ammazzati a partire da esami errati? A quanti sarà stato strappato indebitamente, disumanamente il diritto all’esistenza?

«Io ero convinta che i medici si sbagliassero», ha detto Jodie. Ed aveva ragione: dopo trenta ore di travaglio, la donna, a circa 40 settimane di gestazione, ha dato alla luce una bambina perfettamente sana, bellissima. L’ha chiamata Jasmine. Jasmine, oggi, ha quasi un anno di vita. E sta benone. Sa già gattonare, camminare ed ha già imparato anche «pezzi dell’alfabeto». Sua madre è una persona felice ed ha dichiarato di essere «un milione di volte grata di non aver ascoltato i medici». È una vicenda, questa, da cui v’è certo molto da imparare.

Ma è possibile valutare le cose anche da un’altra prospettiva. Anche chi non è stato altrettanto fortunato per certi versi, non per questo è meno felice. Ed ecco un’altra storia vera, narrata questa volta dal quotidiano The Mirror. Anche in questo caso i medici avevano avvertito: il bambino sarebbe nato senza braccia. La gravidanza era giunta alla 13ma settimana, a quel punto meglio abortire, sentenziarono i sanitari. Non farlo sarebbe stato da «egoisti». I genitori, Mariaan e Hendrik Strauss, sudafricani, non hanno però avuto esitazioni: Hendré doveva venire al mondo. E così è avvenuto nel giugno 2022: «Se dovessi scegliere oggi – afferma sua madre – lo prenderei così, di nuovo».

Oltre alle braccia, non sviluppatesi, ad Hendré mancava il perone, lo stomaco era più piccolo del dovuto, uno dei piedi era malformato e dovette essere ingessato. Ma il piccolo, tre mesi dopo, ha cominciato a reagire ed a superare, come poteva, la propria disabilità. Un giorno potrà forse ricevere delle protesi, al posto delle braccia. Sua madre Mariaan, comunque, oggi è decisa nel dire: «È giusto avere un bambino diverso dall’idea che la società ha di “normale”. Hendré è il miglior regalo che potessimo ricevere».

Ed un regalo, ma di tutt’altro tipo, è anche quello ricevuto dal dott. John Bruchalski, ginecologo, disposto a praticare aborti in un ospedale della Virginia, negli Stati Uniti. Un giorno gli sono capitate due pazienti alla 22ma settimana di gravidanza. Una voleva tenere il bambino in grembo, l’altra no. Il figlio di quest’ultima, però, è sopravvissuto all’aborto: piangeva, rantolava, si lamentava. Il medico fu tentato di soffocarlo, per evitare sofferenze alla madre. Ma non ce la fece ad attuare il proprio proposito. Il bambino pesava 505 grammi, più di quanto pensasse: per le leggi della Virginia, era già considerabile come un essere umano a tutti gli effetti. Come da protocollo, quindi, a quel punto, era necessario allertare l’unità di terapia intensiva neonatale, per rianimare il piccolo. Era a tutti gli effetti una vita da salvare.

Quest’esperienza, emotivamente ed umanamente toccante, ha sconvolto la vita del dott. Bruchalski. Da quel giorno non ha più praticato aborti, si è anzi pentito, convertito ed ha fondato un’organizzazione, che insegna al personale medico a lavorare nei centri pro-life.

Tre storie molto diverse tra loro, dunque, ma tutte realmente accadute e con un comune denominatore: l’agire della Provvidenza, che tocca sempre i cuori di quanti siano pronti ad accogliere la vita. Ogni tanto ci vogliono anche notizie come queste.

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