Teodolinda, grande regina longobarda e amica della Chiesa

«Abbiamo saputo dal nostro figlio abate Probo quanto la vostra eccellenza si sia impegnata, come è solito, con sollecitudine e benignità a ristabilire la pace (…). Non crediate, o eccellentissima figlia, di avere acquistato un piccolo merito per il sangue che stava per essere sparso da una parte e dall’altra. Perciò, mentre vi ringraziamo del vostro buon volere, preghiamo la misericordia del nostro Dio, affinché vi ricompensi adesso e in futuro con il bene del corpo e dell’anima. Salutandovi, inoltre, con paterno affetto, vi esortiamo a operare presso il vostro sposo perché non rinneghi il patto che ha stretto con la repubblica cristiana. Infatti, come crediamo che anche voi sappiate, per molti aspetti è utile che egli voglia arrivare a stringere rapporti di amicizia con essa».
Queste parole, contenute in una delle quattro lettere di san Gregorio Magno a Teodolinda, racchiudono il senso profondo della relazione tra il pontefice della Chiesa romana e la regina, improntata alla comune preoccupazione per il futuro del popolo longobardo, nel suo rapporto con i latini, che erano la maggioranza della popolazione a sud delle Alpi, in uno dei periodi più travagliati e incerti dell’Alto Medioevo.
Non vi si fa riferimento a un generico impegno, ma agli avvenimenti tra gli anni 591 e 593, quando armati dei Ducati di Spoleto e di Benevento si diressero verso le aree controllate dai romani nell’Italia centrale per poi puntare su Roma. Li raggiunse anche Agilulfo con altre truppe, per conquistare Perugia, dove il Duca longobardo Maurizio si era alleato con i bizantini.
Vinta la battaglia, ucciso in modo esemplare il duca ribelle, puntò al controllo del “corridoio” appenninico che collegava Ravenna con Roma (posta almeno nominalmente nell’ambito politico di Bisanzio) e cominciò a marciare verso la città di Pietro, minacciando l’assedio.
Fu allora che il re longobardo si trovò di fronte a una scelta dagli esiti cruciali e irreversibili: mettere in atto un’azione bellica di lunga durata, rischiando di non ricevere un appoggio sufficiente dai duchi di Spoleto e Benevento e di logorarsi per l’assenza da Pavia, oppure raggiungere un accordo con il vescovo della città, che di fatto era l’unica autorità in grado di porsi come riferimento per la popolazione.
In questo modo si sarebbe inserito in un contesto più ampio di contatti, relazioni e forme di legittimazione. Fu proprio questa, infine, la sua decisione. E vi svolse un ruolo determinante la regina, tanto che Gregorio Magno chiede a lei di vegliare perché il giuramento venisse effettivamente mantenuto e perché tra i longobardi e i romani si instaurasse una “pace saldissima”.
Lo racconta, dettagliando le circostanze, Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum, facendo di lei una dei grandi protagonisti della storia eroica e drammatica del suo popolo, tra perdute origini nordiche e un impossibile destino subalpino e mediterraneo.
Una donna eccezionale
Nel ruolo di mediatrice, di garante e di perno morale della monarchia si risolve l’intera lunga e difficile vita di Teodolinda.
Figlia del Duca bavaro Garibaldo, nel 589 sposò il Re longobardo Autari. Alla morte di questi, due anni dopo, si scelse come marito – e come re del popolo longobardo – Agilulfo. Sopravvissuta anche a lui, resse da sola il regno fino alla maggiore età del figlio Adaloaldo, nel 616.
L’importanza assunta dalla sua persona non è eccezionale nel contesto germanico, nel quale le donne erano gli elementi chiave degli accordi fra gruppi familiari e fra gruppi etnici e, dopo il matrimonio, per tutta la vita, continuavano a tessere mediazioni e negoziati fra contesti molto diversi, spesso nel mezzo di scontri violenti. Il loro potere si rafforzava proprio in rapporto con la capacità di farsi valere in situazioni di conflitto, tenendo relazioni anche fra soggetti lontanissimi.
Di Teodolinda sappiamo che non era ariana, né propriamente cattolica “romana”: aderì infatti allo scisma dei tre capitoli, originato da una controversia cristologica che allontanò vescovi e patriarchi del Nord Italia dal pontefice romano. Ne fu coinvolto anche l’abate Secondo di Non, consigliere della regina. Gregorio Magno la stigmatizzò per questo, esortandola ad allontanarsi da queste posizioni.
Nulla sappiamo delle sue convinzioni personali, né della consapevolezza teologica delle implicazioni delle sue scelte. Tuttavia le fonti ci restituiscono attestazioni del suo impegno concreto a favore del clero e dei monasteri e dell’opera di convincimento rivolta ad Agilulfo in funzione dell’alleanza con il papa.
Il re restò ariano fino alla morte, ma condivise la politica della moglie a favore di singoli prelati latini e delle loro fondazioni. Adaloaldo, figlio dei due, è il primo re longobardo battezzato secondo il rito cattolico romano, poco dopo la nascita.
Teodolinda estese il suo ruolo di mediatrice ben oltre il foedus fra bavari e longobardi, allargandolo all’incontro fra longobardi ariani e latini romani.
Favorì la conclusione graduale della lunga fase in cui i longobardi, ormai insediati stabilmente a sud delle Alpi, rimasero legati all’arianesimo e a forme cultuali propriamente germaniche. Contribuì all’affermazione del Cristianesimo romano soprattutto grazie a provvedimenti a favore del clero, composto per lo più da elementi latini anche provenienti dall’aristocrazia senatoria.
Essi – vescovi, abati, monaci – poterono così iniziare a percepire i longobardi come potenziali sostenitori e poterono continuare a svolgere attività di tipo culturale e umanistico, agevolando la tradizione del patrimonio romano nel nuovo crogiolo di popoli germanici. La sua azione, discreta quanto profonda e diffusa in un’area amplissima, finì così per preparare la cosiddetta “rinascita carolingia”.
Lo stesso Paolo Diacono, che aveva rinunciato al nome longobardo di Warnefrit e, dopo avere aderito alla rivolta antifranca di Arechi, si era rifugiato nel monastero di Montecassino per concludere il proprio compito di storico e cantore delle glorie del suo popolo ormai vinto, sarà chiamato alla corte di Carlo Magno per le sue competenze di filologo e di conoscitore dei testi dei Padri della Chiesa.
Questo testo di Renata Salvarani è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it