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Taranto protagonista delle nostre radici religiose

Tesori d'Italia29 Febbraio 2020
Testo dell'audio

I riti della Settimana Santa sono uno spettacolo di profonda fede e di antica tradizione. Diffusi un po’ ovunque nell’Italia meridionale, questi riti assumono una forma simile a quella attuale nel periodo della dominazione spagnola in Italia. A Taranto in particolare, essi furono introdotti dal nobile Don Diego Calò, il quale, tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700, fece costruire a Napoli le statue di Cristo morto e dell’Addolorata, che furono poi collocate nella Cappella del suo palazzo gentilizio a Taranto.

Un suo discendente, nel 1763, donò ai padri Carmelitani le due statue, a condizione che la Confraternita di Maria SS. del Monte Carmelo si impegnasse a portarle in processione il Venerdì Santo di ogni anno, continuando così la tradizione iniziata dalla famiglia Calò, che si limitava però ad un breve percorso nei dintorni del palazzo. Il 1765 segna l’inizio della processione dei Misteri della Confraternita del Carmine. Oggi, sono solo due le Confraternite che a Taranto mantengono in vita la tradizione delle processioni sella Settimana Santa: quella della Beata Vergine Addolorata e, appunto, quella di Maria SS. del Monte Carmelo.

 

Le “gare” della Domenica delle Palme

I riti della Settimana Santa hanno inizio la sera della Domenica delle Palme, con le “gare”, una antica usanza con la quale i confratelli delle Congreghe del Carmine e dell’Addolorata si disputano all’asta l’onore di portare in processione i simboli sacri. Il ricavato della gara viene poi devoluto, nel corso dell’anno, in favore di iniziative benefiche. La statua della Vergine e la “troccola” (uno strumento di legno, usato durante le processioni in luogo delle campane) per i confratelli dell’Addolorata, e la statua del Cristo Morto per quelli del Carmine, sono i simboli più ambiti delle due “gare”.

 

Il Pellegrinaggio ai Sepolcri

Il pellegrinaggio ai Sepolcri è il primo degli “eventi” della Settimana Santa tarantina. Mentre un tempo erano diverse le Congregazioni che partecipavano al rito del Giovedì Santo, oggi la Congrega del Carmine è l’unica fra le Confraternite tarantine a svolgere ancora il pellegrinaggio. Alle ore 15 in punto, tra due ali di fedeli, dalla chiesa del Carmine escono le “poste” (cioè le coppie) di “perduni” (cioè di pellegrini) che compiono il pellegrinaggio.

I confratelli, incappucciati, vengono chiamati dal popolo “perdone” in ricordo dei pellegrini che un tempo si recavano a Roma per ottenere il perdono dei peccati. Nell’incontrarsi per via o nel darsi il cambio nell’adorazione ai Sepolcri, le “poste” dei “perdone” si fanno uno scambievole inchino (‘u salamalècche) e si colpiscono il petto con le coroncine del rosario. Una antica tradizione popolare vuole che tra la sera del Giovedì e quella del Venerdì Santo siano sette i Sepolcri da adorare e le chiese dove essi vengono allestiti rimangono aperte fino a tarda sera per permettere alla folla di visitarli e pregare.

 

La processione dei Misteri

Tra il Venerdì e il Sabato Santo si svolgono le due processioni più “sentite” dai tarantini. La prima, la processione dei Misteri, esce dalla chiesa del Carmine nel tardo pomeriggio del Venerdì Santo e ripercorre le varie stazioni della Via Crucis. I simboli e le statue sono portati da “perdune” coronati di spine. La processione è aperta dal “troccolante”. Egli è l’unico Confratello ad indossare il cappello e a agitare la troccola, lo strumento in legno intarsiato con sei maniglie di metallo che, battendo su delle borchie anch’esse metalliche, provocano il caratteristico ed inconfondibile suono.

Seguono, nell’ordine, il Gonfalone della confraternita di stoffa nera montata su una lunga asta, la Croce dei Misteri con i simboli della Passione, le statue dei Misteri che riproducono alcuni episodi della Via crucis sorrette ognuna da quattro Confratelli in abito di rito. Tra una statua e l’altra si collocano “poste” di “perdune” incappucciati. Il clero segue le statue e precede l’altra antichissima statua, quella dell’Addolorata ed i fedeli che chiudono la processione. Il compito di tenere l’ordine nel corteo è affidato a sette “mazzieri”, confratelli anch’essi in abito di rito che reggono una mazza sormontata ciascuna da un simbolo diverso. La processione, dopo aver percorso circa 2 Km, rientra nella chiesa del Carmine, accolta da una fiumana di gente, alle 9 del Sabato Santo quando il “troccolante”, bussando al portone della chiesa, dà inizio al rito del rientro.

Nel corso della processione, così come avviene in quella dell’Addolorata,  i portatori e le “poste” procedono con una andatura dondolante che viene chiamata “nazzecàta” (da “nazzecàre”, cullare). I confratelli avanzano scalzi indossando un cappuccio di tela bianca che copre interamente il viso e che pende sul petto, un cappello nero circolare bordato con nastro blu chiaro, una mozzetta e dei guanti bianchi, un lungo camice di tela bianca, una corona di rosario con medaglie sacre e cinghia di cuoio, legati alla cinta e pendenti dai fianchi ed infine due grandi scapolari recanti le scritte Decor e Carmeli ricamate in seta blu chiaro. Ognuno dei due “perdune” che formano ciascuna “posta” porta una mazza alta circa due metri che simboleggia l’antico bastone dei pellegrini.

 

La processione dell’Addolorata

La processione dell’Addolorata è infatti l’altro grande “evento” del Venerdì Santo. Essa è organizzata dalla Confraternita della Beata Vergine Addolorata. La Confraternita, fu costituita nel 1870, ma già dal 1670 esisteva quella di S. Domenico in Soriano e furono proprio i domenicani a diffondere la devozione verso l’Addolorata, in onore della quale veniva celebrata la funzione dei Sette Dolori. Questa funzione, consistente nella meditazione dei Sette Dolori della Vergine, è l’unica e autentica tradizione sopravvissuta tra le numerose altre celebrazioni che si svolgevano durante la settimana dì Passione

Al termine della meditazione si celebra un piccolo e breve rituale di benedizione al quale spesso partecipa l’Arcivescovo di Taranto. Questa funzione, che pure possiede ben poco di folkloristico e di suggestivo, viene seguita dai confratelli e dai fedeli con sentito fervore religioso. Per l’occasione la statua dell’Addolorata viene rimossa dal suo altare e sistemata al centro dell’altare maggiore, attorniata da ricchi addobbi e decorazioni floreali. Alcuni testi, farebbero risalire al 1872 la data di inizio del pellegrinaggio dell’Addolorata anche se, probabilmente, già in precedenza l’immagine veniva portata per le vie della città dai componenti della Confraternita di S. Domenico.

Si tratta di una statua in legno del XVII secolo conservata nella chiesa di S. Domenico dal 1904 data in cui fu trasferita definitivamente dal monastero di S. Giovanni dove veniva custodita precedentemente. La processione dell’Addolorata esce dalla chiesa di S. Domenico poco prima della mezzanotte del Giovedì Santo. La statua della Madonna si ferma per alcuni minuti sul ballatoio della chiesa mentre il resto del corteo si muove per le vie della città. La processione, similmente a quella dei Misteri, è composta dalla “troccola”, le “pesare”, la “Croce dei Misteri”, quindici “poste” intervallate da tre “Crociferi”, due “Mazzieri” e, naturalmente la statua dell’Addolorata.

Durante la processione, i confratelli dell’Addolorata indossano un cappuccio di tela bianca, un cappello nero con bordatura bianca, una corona di sterpi sul capo, una mozzetta nera, guanti bianchi e un camice bianco stretto in vita e ai polsi, una corona del rosario con medaglie sacre e cinghia di cuoio, legate alla cinta di stoffa nera e pendenti dai fianchi e, infine, una piastra di metallo raffigurante l’Addolorata con incise le parole Mater Dolorosa. Il rientro nella chiesa di S. Domenico è fissato per le ore 14.00 del Venerdì Santo dopo aver un percorso di oltre 4 km.

 

Un’espressione della religiosità di una intera città

I riti della Settimana Santa sono il simbolo visibile della fede e della devozione propri della cittadinanza di Taranto, ma più in generale l’intera popolazione italiana che attraverso riti e “manifestazioni” come questa ha saputo mantenere vive le proprie tradizioni e con esse la propria fede cattolica. La Settimana Santa evoca sentimenti di pietà e carità e con essi quei valori che la società odierna vuol far credere perduti, ma che invece sono ben presenti e vivi negli animi di milioni di persone proprio perché costituiscono le radici dell’identità della nostra nazione.

 

Questo testo di Daniele Civisca è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

 

 

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