Stati Uniti, quando di aborto si può morire…

La denuncia è forte e sconvolgente: secondo quanto riportato dalle agenzie LifeSiteNews e Infocatólica, nel giro di soli cinque giorni – per la precisione, tra il 20 ed il 25 gennaio scorsi – ben due donne sarebbero state trasportate d’urgenza, in ambulanza, dal Near North: Elizabeth Cohn Morris Health Center Planned Parenthood, con sede al 1200 North La Salle Drive di Chicago, all’ospedale più vicino. In entrambi i casi, l’emergenza è stata dovuta ad un’emorragia post-aborto.
Le agenzie, dando la notizia, specificano come «la maggior parte delle emorragie chirurgiche post-procedurali» siano dovute «a lesioni interne inflitte da strumenti chirurgici, spesso lacerazioni della cervice uterina e perforazioni dell’utero», già evidenziate come cause frequenti di decessi.
Pare peraltro che questo tipo di emergenza, presso tale struttura di Planned Parenthood, sia tutt’altro che raro. A dare l’allarme ha provveduto Operation Rescue, un’affermata organizzazione pro-life statunitense, che ha messo a punto anche un dettagliato dossier di 24 pagine, con cui viene documentato un numero impressionante di morti collegate proprio alle pratiche abortive. Quei due casi in cinque giorni, evidentemente, sono tutt’altro che episodi isolati…
Brutte notizie anche dalla Spagna, dove nel 2022 sarebbero dovuti nascere 428.208 bambini. Ma 98.136 di loro, quasi uno su quattro, non ha mai visto la luce, perché ucciso nel grembo materno. Questo, secondo i dati ufficiali, pubblicati dal Ministero della Salute.
Ma c’è di peggio: un rapporto dell’Ong pro-choice Guttmacher Institute, ha registrato tra il 2020 ed il 2023 un aumento significativo nel numero degli aborti soprattutto negli Stati, ove questi vengano praticati in modo tardivo ovvero fino al momento della nascita. In Colorado, ad esempio, il drammatico incremento è stato pari all’89%, in Illinois al 69%, lo stesso a Washington e nel Nuovo Messico, peraltro si noti come siano tutti Stati governati da democratici.
Vittoria, invece, nel Regno Unito dove, alla fine, ha prevalso il buon senso e sono state ritirate le accuse rivolte a Isabel Vaughan-Spruce, arrestata mesi fa per aver pregato in silenzio e senza cartelli fuori da una clinica abortista di Birmingham; il tutto sarebbe avvenuto dopo l’istituzione di una zona di censura, all’interno della quale era fatto espressamente divieto ai pro-life di protestare, di consigliare, di pregare o anche solo di sostare. Da qui il dubbio che potesse configurarsi una situazione di reato.
La Polizia di West Midlands ha specificato invece di non voler sporgere alcuna denuncia nei confronti della donna e si è peraltro scusata, per aver impiegato più di sei mesi, per indagare sul “caso”. Chiara la reazione espressa da Isabel Vaughan-Spruce in merito: «Non avrei mai dovuto essere arrestata o indagata solo per i miei pensieri – ha detto – Pregare in silenzio non è mai un crimine. È importante sottolineare le implicazioni estremamente dannose di questo mio calvario, non solo per me, ma per tutti coloro che hanno a cuore le libertà fondamentali nel Regno Unito. Quello che mi è successo indica ad altri che anche loro possono essere fermati, interrogati, indagati ed eventualmente perseguiti, se vengono sorpresi ad esercitare una loro fondamentale libertà di pensiero». La donna ha preannunciato comunque di voler tornare a pregare silenziosamente davanti davanti alle cliniche abortive.
Buone notizie giungono, però, anche dal Messico, dove quasi 20 mila cittadini hanno già firmato contro la depenalizzazione dell’aborto nel Paese. Le sottoscrizioni raccolte verranno poi depositate presso la sede del Congresso dello Stato del Messico dal Frente Nacional per la Familia e da altre organizzazioni pro-life, che si stanno coraggiosamente battendo anche contro la dittatura del pensiero unico e contro la menzogna dell’aborto come “diritto”. Secondo il Frente Nacional per la Familia il Paese «non ha bisogno di altre morti, né di ideologie polarizzanti; ciò di cui ha bisogno è il rispetto e l’attenzione alla vita, all’istruzione, alla salute, alla giustizia ed al lavoro».