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Specchio della grande tradizione musicale partenopea

Arte e Cultura04 Marzo 2019
Testo dell'audio

Da circa due secoli il Conservatorio che porta il nome di Pietro da Morrone (eremita sui monti della Majella, poi Papa Celestino V) registra gli umori culturali ed artistici della città.

Ma la sua storia comincia molto prima: esso è l’erede del Real Collegio di musica, istituito da Francesco I di Borbone con regio decreto nella primavera del 1826, generato a sua volta dall’unione di quattro conservatori cinquecenteschi, nucleo originario e vivaio della gloriosa Scuola del Settecento Napoletano: il “Santa Maria di Loreto”, la “Pietà dei Turchini” (così chiamata per il colore che aveva la divisa dei piccoli ospiti), il “Sant’Onofrio a Capuana” e i “Poveri di Gesù Cristo”.

I conservatori musicali napoletani

Ricordiamo che i conservatori nascono nella prima metà del XVI secolo in una Napoli devastata dalle guerre, dalle dominazioni straniere, dalle carestie, dai terremoti e dalle epidemie per “conservare” i piccoli sopravvissuti, orfani o trovatelli, in luoghi di accoglienza di pubblica pietà dove potevano anche apprendere un mestiere per diventare da adulti dei buoni artigiani.

Solo nel Seicento alla filatura del taffettà, alla concia delle pelli e a quanto poteva essere utile nelle laboriose e fantasmagoriche botteghe napoletane si aggiunse, e poi si sostituì, l’insegnamento del mestiere di musico; un mestiere fino ad allora mortificato a servizio artigianale. Sorsero così delle scuole di eccellenza musicale, la cui fama presto si diffuse in tutta Europa.

Gli ospiti stessi contribuivano al mantenimento del Conservatorio partecipando come musici o cantori sia agli eventi musicali nelle chiese, numerosissime, che richiedevano il loro intervento nel ricco e articolato calendario liturgico del tempo sia alle produzioni di spettacoli profani (melodrammi, cantate, concerti) nei teatri pubblici e in quelli di corte, nonché nelle sontuose dimore di rappresentanza della ricca nobiltà del Regno.

Gli allievi erano suddivisi per fasce di età: i “filioli” (piccoli) i mezzani e gli “eunuchi” (o “castrati”): adolescenti (sventurati) che a causa di una voce promettente subivano l’evirazione in età prepuberale per acquistare estensione, potenza e agilità vocali straordinarie. Famiglie e maestri confidavano in una carriera che, se realizzata, assicurava successo e denaro e ne faceva dei veri e propri divi con sostenitori e ammiratori in tutte le più importanti città del tempo.

Agli “eunuchi” i Conservatori assicuravano, per via della sofferta fragilità fisica, ambienti più caldi, abiti adeguati e un’alimentazione più ricca. Più o meno intorno ai 20 anni tutti gli ospiti venivano congedati. Tra gli illustrissimi maestri dei primi conservatori annoveriamo glorie musicali come Alessandro Scarlatti, Niccolò Jommelli, Nicola Antonio Porpora. E tra gli allievi? Giovan Battista Pergolesi, Domenico Cimarosa, Leonardo Leo, Gian Francesco De Majo.

Il primo conservatorio a chiudere i battenti fu “I Poveri di Gesù Cristo” nel 1743. Sorte non meno felice ebbe il Santa Maria di Loreto adibito ad ospedale militare nel 1797, mentre il “Sant’Onofrio a Porta Capuana” in seguito ai moti del 1799 si fuse con la superstite “Pietà dei Turchini”. L’istituto venne trasferito poi nel Monastero delle Dame di San Sebastiano e infine nella sua sede attuale.

Il San Pietro a Majella erede della tradizione musicale partenopea

Fortunatamente il ricco patrimonio (archivi, strumenti, libri e manoscritti) delle istituzioni antiche non era stato disperso: così il San Pietro a Majella divenne il luogo fisico della confluenza di tanta storia e il luogo ideale di una scuola alle prese con l’evoluzione del gusto e la prassi musicale dell’Ottocento.

Il prestigio della Scuola era tale che per studiare nel celebre conservatorio partenopeo il giovane Bellini si trasferì dalla Sicilia a Napoli. Qui egli, futura gloria musicale, si innamorò, ricambiato, di Maddalena Fumaroli figlia di un nobile danaroso che impedì il matrimonio tra i due, definendo il compositore catanese un povero “suonatore di cembalo”.

Tra i direttori celebri citiamo, per ragioni di spazio, solo Francesco Saverio Mercadante, Francesco Cilea e Gaetano Donizetti. Una curiosità: fu il compositore bergamasco, autore di opere liriche famose L’elisir d’amore, Lucia di Lammermoor e Don Pasquale, a rivestire di note la popolare canzone “Te voglio bene assai” scritta dal poeta Raffaele Sacco il 7 settembre 1885. Il tutto è ricordato da una lapide posta su un Palazzo in via Domenico Capitelli.

Di curiosità in curiosità: Giovanni Capurro, poeta e giornalista (caporedattore del Roma), autore della celeberrima canzone “O sole mio” (1898), il capolavoro del musicista Eduardo Di Capua che rappresenta l’incontrastato inizio della grande e inimitabile stagione canora napoletana nel mondo, studiò e si diplomò in flauto al San Pietro a Majella.

Ma il conservatorio è anche un Museo che spalanca alla curiosità di chi voglia allontanarsi dal logoro itinerario delle guide turistiche i suoi inaspettati tesori: una vasta collezione di cimeli e ritratti di musicisti tra cui il Rossini di Domenico Morelli, il Wagner di Francesco Saverio Altamura e il Mercadante di Francesco Palizzi. Tra gli innumerevoli strumenti antichi: i due fortepiano donati dalla Zarina Caterina II a Cimarosa e a Paisiello, le arpe Erard e i violini Gagliano, clavicembali, spinette, pianini e pianoforti, fino ad un oggetto unico carico di fascino come l’arpetta firmata da Antonio Stradivari.

Nella biblioteca un inestimabile patrimonio di volumi, carteggi, stampe, incisioni, autografi di Alessandro e Domenico Scarlatti, Pergolesi, Paisiello, Cimarosa, Rossini, Bellini, Donizetti, il manoscritto dell’unico Quartetto per archi composto da Giuseppe Verdi e donato da lui stesso al Conservatorio e la collezione del marchese Capece Minutolo, ricca di pregevoli pagine mozartiane, vivide testimonianze di secoli di storia d’amore per la musica.

 

Questo testo di Paola Stefanucci è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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