Slovenia, le origini cristiane

Le prime comunità cristiane furono presenti in Slovenia già intorno al III secolo d.C. sotto la guida del santo vescovo Vittorino di Ptuj (Petovio), che subì il martirio sotto l’imperatore Diocleziano. Da allora il Vangelo è stato recepito a tappe dalle popolazioni slave, sino a quando i santi Cirillo e Metodio riuscirono a creare per la prima volta un ponte tra cultura latina e bizantina.
Durante l’incontro con i rappresentanti del mondo della scienza e della cultura slovena, Giovanni Paolo II, durante il discorso pronunciato nella cattedrale di Maribor il 19 maggio 1996, evidenziò come il rapporto fecondo tra cultura e Vangelo sia stato determinante per lo sviluppo dell’identità nazionale della Slovenia: «Il popolo sloveno può offrire numerose testimonianze dell’incidenza che il Vangelo ha in tutti i campi della vita», disse.
Definire con esattezza quando il Cristianesimo abbia iniziato a diffondersi in terra slovena non è semplice. Gli insegnamenti evangelici, infatti, sono stati recepiti in questa nazione in un arco di tempo caratterizzato da varie tappe, come è possibile scorgere dal dipinto di Tom Demšar sulla porta della cattedrale di san Nicola a Lubiana, raffigurato in occasione dei 1250 anni della presenza cristiana nella capitale.
Dal sangue del martirio
Alcune comunità cristiane erano presenti già intorno al III secolo d.C. sotto la guida del santo vescovo Vittorino di Ptuj (Petovio), che subì il martirio sotto l’imperatore Diocleziano. È stato possibile attingere a tali fonti grazie alle informazioni trasmesseci da san Girolamo, che ebbe una grande ammirazione nei suoi confronti, tanto da annoverarlo tra i Padri latini della Chiesa dell’epoca assieme a Tertulliano, Cipriano, Minucio Felice e Lattanzio.
Successivamente, la religione cristiana subì una fase di stallo dovuta alla chiusura delle sedi vescovili di Petovio, Virunum e delle diocesi di Emona e Celeia. Le ragioni della chiusura vanno ricercate nelle due ondate migratorie, che hanno coinvolto queste popolazioni: la prima, nel 568, nel territorio intorno ai fiumi Drava, Sava e Soča (Isonzo); la seconda avvenne intorno al 579, quando gli slavi penetrarono in questi luoghi al fianco degli Avari. È stato possibile accertare la veridicità di tali notizie grazie a papa Gregorio Magno, poiché le aveva annotate nel suo Registrum Epistolarum.
Un annuncio più efficace
Dopo tali invasioni le popolazioni celto-romane fuggirono verso il litorale in cerca di sicurezza e lungo le coste si trasferirono anche le sedi episcopali. Il protocollo Ad ripas Danubi del 795 d.C., scritto dal patriarca aquileiano Vittorino II, testimonia come, soprattutto nelle comunità che non si erano trasferite verso le zone costiere, la maggior parte del clero fosse analfabeta non solo culturalmente, ma anche dal punto di vista liturgico.
L’attenzione dei Vescovi era allora maggiormente rivolta verso quei sacerdoti, che avevano battezzato dei fedeli senza neanche conoscere bene le formule previste. In questo periodo, dunque, si fece ricorso a missionari esperti, con lo scopo di annunciare il Vangelo secondo modalità più efficaci. Purtroppo, l’impresa non riuscì, nonostante fossero giunti in questi luoghi monaci di grande fama, come l’irlandese san Colombano, il monaco Agrestio e l’aquitano Armando, i quali, dopo un breve periodo, abbandonarono la missione.
Il corepiscopo Modesto
Due furono le cause principali di questo fallimento: la divisione delle comunità cristiane in due patriarcati, quello di Grado e quello di Aquileia, e l’atteggiamento poco amichevole dei popoli slavi verso l’attività missionaria. Bisognerà aspettare ancora un secolo per avere testimonianza delle prime autentiche tracce dell’azione evangelizzatrice in Slovenia, in particolare tra gli slavi di Carantania.
Il principe Hotimir, tra il 755 e il 759, chiese al vescovo Virgilio di intraprendere una missione presso il suo popolo, questi però gli inviò il suo corepiscopo di nome Modesto, insieme ad altri missionari sempre di origine irlandese, i quali possono essere considerati i primi veri missionari stabili tra le popolazioni slave.
L’opera dei santi Cirillo e Metodio
Con la vittoria dei franchi sugli avari, nel 796 d.C., i confini del regno di Carlo Magno si estesero verso est, raggiungendo anche la pianura pannonica. Tale evento diede un’ulteriore spinta alla diffusione del Vangelo in questi territori, raggiungendo l’apice nel IX secolo, grazie all’opera missionaria dei fratelli Cirillo e Metodio. Con l’apostolato dei due monaci orientali, che non durò comunque più di tre o quattro anni, si venne a creare per la prima volta un ponte tra cultura latina e bizantina, determinando così «uno dei più importanti processi di sviluppo storico nel secolo IX in Europa».
L’attività dei due fratelli ebbe successo tra gli slavi perché con astuzia e saggezza non imposero il rito orientale, ma, anzi, si sforzarono di tradurre «il rito da essi conosciuto, cioè quello occidentale, nella loro lingua». In un periodo, dunque, in cui l’impostazione missionaria irlandese si stava spegnendo, l’apporto di Cirillo e Metodio risultò fondamentale per lo sviluppo dell’identità nazionale futura di alcuni popoli slavi, tra cui gli sloveni.
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Questo testo di Marco Mancini è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it