Santa Marcella, gemma della città di Roma

Il mondo pagano per la prima volta restò confuso di fronte a una simile donna, poiché a tutti fu manifesto che cos’era effettivamente la vedovanza cristiana, ch’essa faceva risplendere con la sua rettitudine interiore e con il suo contegno.
Esponente di una delle più illustri famiglie romane, quella dei Marcelli (secondo altri dei Claudi), Marcella nacque verso il 330, ma non ebbe la giovinezza felice, essendo ben presto rimasta orfana del padre. Quello che sappiamo di questa santa matrona romana lo ricaviamo dall’elogio funebre che san Girolamo inviò nel 413 da Betlemme alla giovane Principia, amica inseparabile di Marcella e sua erede spirituale.
Contratto matrimonio in giovane età, fu colpita dalla morte del marito avvenuta sette mesi dopo la celebrazione delle nozze. Questi luttuosi avvenimenti fecero maggiormente riflettere Marcella sulla caducità delle cose terrene.
Madre dell’ascetismo monastico a Roma
Lo spirito ascetico propugnato dal monachesimo, consistente nell’abbandono di ogni bene mondano, andò sempre più conquistando l’animo della giovane vedova. Quando perciò le furono offerte vantaggiose seconde nozze col console Cereale (358), nonostante le premurose pressioni della madre Albina, oppose al ventilato matrimonio un netto rifiuto, motivato dal desiderio di dedicarsi interamente a una vita ritirata facendo professione di perfetta castità.
Così Marcella, secondo san Girolamo, fu la prima matrona romana che sviluppò fra le famiglie nobili i principi del monachesimo. Il suo maestoso palazzo dell’Aventino andò trasformandosi in un ascetario ove confluirono altre nobili romane come Sofronia, Asella, Principia, Marcellina, Lea e la stessa madre di Marcella, Albina. Per molti anni infatti la sua domus dell’Aventino rimase un cenacolo ascetico specie fra le vergini e le vedove della nobiltà. Andava spesso alle basiliche degli Apostoli e dei martiri per pregare in segreto, e a quelle meno frequentate dalla gente.
A tal punto ubbidiva a sua madre da fare talvolta anche ciò che personalmente non avrebbe voluto; tant’è vero che mentre Albina amava la sua famiglia e voleva che tutti i beni della figlia (dato che costei non aveva né figli né nipoti) fossero trasferiti ai figli del fratello, Marcella invece preferiva i poveri; non se la sentiva, però, di mettersi contro sua madre, e così lasciò ai ricchi parenti i gioielli e i mobili, preferendo perdere il denaro piuttosto che addolorare il cuore di sua madre.
A quell’epoca nessuna delle nobildonne romane conosceva l’ideale monastico, e data la novità della cosa, nessuna aveva il coraggio di assumere un nome che la gente riteneva infame e volgare. Dalla viva voce dei vescovi d’Alessandria Atanasio e poi Pietro, Marcella apprese la vita dell’allora ancor vivente beato Antonio, l’esistenza dei monasteri di Pacomio nella Tebaide, e la regola delle vergini e delle vedove. Non si vergognò di professare quello che aveva capito essere gradito a Cristo.
La santa morte per mano dei visigoti
Verso la fine della vita Marcella vide la città di Roma assediata e saccheggiata dai goti, federati nell’esercito dell’Imperatore Teodosio, capitanati da Alarico. Nel 408 il popolo romano compra la propria salvezza a prezzo d’oro versando nelle mani dei barbari un’ingente quantità di tesori.
Nel 410 Alarico occupò e saccheggiò la città perché l’Imperatore Onorio aveva rifiutato le condizioni di pace. Scrisse san Girolamo a Principia: «In mezzo allo sconvolgimento universale il vincitore, assetato di sangue, invade anche il palazzo di Marcella. La Santa accoglie gli invasori senza un tremito nel volto. Costoro reclamano l’oro e le ricchezze che pensavano avesse nascoste; lei si giustifica mostrando la sua rozza veste, ma non riesce a convincerli della sua volontaria povertà. Fustigata e flagellata, si mostra insensibile ai tormenti, ma piangendo e gettandosi ai loro piedi fa di tutto perché non strappino te dalla sua compagnia, e perché la tua adolescenza non abbia a soffrire quegli oltraggi che lei, ormai vecchia, non poteva temere. Cristo intenerì quei cuori induriti, e in mezzo alle spade sanguinanti fece capolino la pietà.
Poi i barbari vi conducono, entrambe, alla basilica dell’apostolo Paolo per farvi scegliere fra la salvezza e la tomba. Dicono ch’ella sia scoppiata in tali trasporti di gioia che continuava a ringraziare Dio perché ti aveva custodita illesa per lei; perché la prigionia non l’aveva ridotta in povertà, ma l’aveva già trovata povera; perché pur mancando del nutrimento quotidiano, sazia di Cristo non sentiva la fame; e infine perché poteva dire a parole e a fatti: “Nuda sono uscita dal ventre di mia madre, e nuda vi ritornerò. Come è piaciuto al Signore cosi è accaduto. Sia benedetto il nome del Signore”».
Il corpo è a San Paolo fuori le Mura, dove morì nel 410. Nella Basilica Ostiense se ne celebra la memoria il 31 gennaio.
Questo testo di Marcella La Gumina è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it