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Santa Cecilia. La martire che venne sepolta insieme ai Pontefici

Santi: ritratti di fede25 Novembre 2019
Testo dell'audio

Nel mosaico dell’XI secolo, posto nell’abside della basilica di Santa Cecilia a Roma, oltre a Cristo benedicente, affiancato dai santi Pietro e Paolo, alla sua destra è rappresentata santa Cecilia, posta accanto a papa Pasquale I, che reca in mano proprio questa chiesa da lui fatta edificare nel rione Trastevere: l’aureola quadrata del Pontefice indica che egli era ancora vivo quando venne eseguita l’opera.

A sinistra di Cristo, invece, san Valeriano, sposo di santa Cecilia. La fondazione del titulus Caeciliae risale al III secolo. Il Liber pontificalis narra che nell’anno 545, durante le persecuzioni cristiane, il segretario imperiale Antimo andò ad arrestare papa Vigilio e lo trovò nella chiesa di Santa Cecilia, a dieci giorni dalle calende di dicembre, ovvero il 22 novembre, ritenuto dies natalis della santa. Tuttavia altre fonti storiche (come il Martirologio geronimiano del V secolo) ritengono che questa non sia la data della morte o della sepoltura, ma della dedicazione della sua chiesa.

La nobildonna romana, benefattrice dei Pontefici e fondatrice di una delle prime chiese di Roma, visse fra il II e il III secolo. Giovane di famiglia illustre, conservava sempre il Vangelo con sé, pregando Dio giorno e notte. Sul suo corpo indossava un cilicio, nascosto dai nobili abiti. Tuttavia, a causa dei suoi genitori e del suo promesso sposo Valeriano, Cecilia non poteva rivelare a nessuno che il suo cuore apparteneva soltanto a Cristo. Si legge nella Passio che, nel giorno delle nozze: «Mentre gli strumenti musicali risuonavano, Cecilia, nell’intimo del suo cuore, cantava inni solo per il suo Signore: “Che il mio cuore e il mio corpo restino immacolati, perché io non sia confusa”». Da questo particolare è stata denominata patrona dei musicisti. Ella pregava Gesù, gli Angeli, gli Apostoli di vegliare sulla sua verginità. La notte delle nozze Cecilia rivelò la sua fede a Valeriano e la sua volontà di rimanere pura «Un Angelo di Dio mi ama e custodisce gelosamente il mio corpo: se si accorge che tu ti accosti a me con un amore impuro, ti perseguiterà con la sua collera e tu perderai il fiore della tua giovinezza. Se, al contrario, sa che tu m’ami di un amore sincero e piro, e conservi la mia verginità intatta, senza contaminarla, ti amerà dello stesso amore di cui ama me». Valeriano gridò di voler vedere l’Angelo, altrimenti non avrebbe creduto e avrebbe ucciso la sposa con l’uomo che lei probabilmente amava. Su indicazione di Cecilia, Valeriano si recò da papa Urbano I (?-230), che si rallegrò nell’udire quel casto racconto. Dopo le preghiere formulate da Urbano, apparve un vecchio con vesti candide e con in mano un’iscrizione a lettere d’oro: «Un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, al di sopra di tutto ed in tutti noi». Gli chiese se credeva ed egli rispose: «Sotto il cielo, non si potrebbe credere in nulla di più vero». L’Angelo scomparve ed Urbano battezzò Valeriano e lo ricondusse a Cecilia. Il giovane sposo la trovò raccolta in preghiera e, al suo fianco c’era un Angelo del Signore che teneva in mano due corone di rose e di gigli; ne diede una a ciascuno di loro dicendo che solo chi avesse amato la castità avrebbe potuto vederlo.

Il prefetto di Roma, Turcio Almachio ordinò di massacrare tutti i cristiani e di non dare sepoltura ai loro corpi. I fratelli Tiburzio e Valeriano, entrambi convertiti, dedicavano il loro tempo a seppellire i martiri, furono denunciati e condotti dal prefetto, il quale ingiunse loro di sacrificare agli idoli, ma essi rifiutarono, perciò vennero fustigati. Il consigliere del prefetto, Tarquinio Lacca, propose di giustiziarli subito per non lasciare loro il tempo di sottrarre i beni alla confisca donandoli ai poveri. Fu così che il segretario Massimo fu incaricato di condurli in aperta campagna davanti ad una statua di Giove e di ucciderli se si fossero rifiutati di sacrificare. Massimo rimase colpito dalla loro giovinezza e dalla loro gioia e volle sapere della loro fede. Altri uomini ascoltarono i racconti evangelici e si convertirono. La notte successiva, Cecilia si recò con alcuni sacerdoti che battezzarono Massimo, la sua famiglia e i boia. All’aurora, Cecilia disse loro: «Andate, soldati di Cristo, gettate lontano via da voi le opere delle tenebre e rivestitevi delle armi della luce. Combattete la buona battaglia, terminate la vostra corsa, conservate la fede, affrettatevi alla corona della vita che Dio, giudice giusto, darà non solo a voi, ma a tutti coloro che aspettano la sua venuta».

Tiburzio e Valeriano vennero decapitati, Massimo fu messo a morte attraverso la fustigazione con flagelli piombati. Santa Cecilia fece seppellire Massimo a fianco del consorte e del cognato, in un sarcofago sul quale fece scolpire una fenice, simbolo della sua fede nella risurrezione. Almachio, allora, ordinò l’arresto di Cecilia, ma i littori rimasero conquistati dalla sua bellezza. Ella profittò della loro buona disposizione per farsi maestra del Vangelo e in più 400 persone, maschi e femmine di tutte le età e condizioni sociali, si convertirono. Papa Urbano li battezzò. Fra gli altri c’era anche il patrizio Gordiano, che si fece garante affinché la casa di Cecilia potesse essere segretamente trasformata in chiesa.

Cecilia aveva un dono particolare: riusciva ad essere convincente e convertiva. Almachio ordinò di condurre Cecilia alla sua presenza per interrogarla. Le chiese di sacrificare agli dèi e di rinnegare la sua fede, ma Cecilia fu irremovibile, burlandosi degli idoli e della loro impotenza. Il prefetto, iracondo, decise di farla ardere viva, ma, dopo un giorno e una notte, il fuoco non la molestò; si decise, quindi, di decapitarla: fu colpita tre volte, ma non morì subito e agonizzò per tre giorni. Molti cristiani che lei aveva convertito andarono ad intingere dei lini nel suo sangue, mentre Cecilia non desisteva dal fortificarli nella Fede. Quando la martire morì, Urbano I, sua guida spirituale, con i suoi diaconi, prese di notte il corpo e lo seppellì con gli altri Papi e fece della casa di Cecilia una chiesa.

Santa Cecilia venne iscritta al canone della Messa all’inizio del VI secolo, secolo in cui sorse il suo culto. Nel III secolo papa Callisto I (?-222), uomo d’azione ed eccellente amministratore, fece seppellire il suo predecessore Zeferino (?-217) accanto alla sala funeraria della famiglia dei Caecilii. In seguito aprì, accanto alla martire, la «Cripta dei Papi», nella quale furono deposti tutti gli altri Pontefici di quello stesso secolo.

Nell’821 le sue spoglie furono traslate da papa Pasquale I (?-824) nella basilica di Santa Cecilia in Trastevere e nel 1599, durante i restauri, ordinati dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati (1560-1618), in occasione dell’imminente Giubileo del 1600, venne ritrovato un sarcofago con il corpo della martire che ebbe l’alta dignità di essere stata sepolta accanto ai Pontefici e sorprendentemente fu trovata in un ottimo stato di conservazione. Il Cardinale commissionò allo scultore Stefano Maderno (1576-1636) una statua che riproducesse quanto più fedelmente l’aspetto e la posizione del corpo di santa Cecilia, così com’era stato ritrovato, con la testa girata a tre quarti, a causa della decapitazione e con le dita della mano destra che indicano tre (la Trinità) e della mano sinistra uno (l’Unità); questo capolavoro di marmo si trova sotto l’altare centrale di Santa Cecilia.

Nel XIX secolo sorse il cosiddetto Movimento Ceciliano, diffuso in Italia, Francia e Germania. Vi aderirono musicisti, liturgisti e studiosi, che intendevano restituire onore alla musica liturgica sottraendola all’influsso del melodramma e della musica popolare. Il movimento ebbe il grande merito di ripresentare nelle chiese il gregoriano e la polifonia rinascimentale delle celebrazioni liturgiche cattoliche. Nacquero così le varie Scholae cantorum in quasi tutte le parrocchie e i vari Istituti Diocesani di Musica Sacra (IDMS), che dovevano formare i maestri delle stesse Scholae.

Il tortonese e sacerdote Lorenzo Perosi (1872-1956), che trovò in san Pio X (1835-1914) un paterno mecenate, è certamente l’esponente più celebre del Movimento Ceciliano. Il 22 novembre 1903, giorno di santa Cecilia, il Pontefice emanò il Motu Proprio Inter Sollicitudines, considerato il manifesto della Musica sacra per eccellenza.

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