San Pietro in Lamosa

Dal punto di vista paesaggistico, la zona su cui ancora oggi sorge il complesso monastico di san Pietro in Lamosa rappresenta uno straordinario incrocio fra le colline della Franciacorta, il lago e l’alta Pianura Padana. La bellezza e la ricchezza del paesaggio nel quale è immerso il cenobio, ha sicuramente favorito l’insediamento di diverse comunità, precedenti anche la conquista romana della zona. Come sembrano dimostrare alcuni rinvenimenti archeologici, sembra che la zona fosse stata scelta per la costruzione soprattutto di edifici di culto. Di questa lunga fase, pagana prima e cristiana poi, restano però pochissime tracce.
Una delle prime testimonianze sicure risale alla prima metà dell’XI secolo, quando, sul luogo dell’insediamento dell’odierna San Pietro in Lamosa, venne costruita una piccola chiesetta privata per volere della famiglia feudale di origine longobarda dei Ticengo. Tale primitivo edificio venne poi ceduto ai monaci di Cluny nel 1083: essi vi esercitarono il loro controllo fino al XV secolo. A questa lunga fase risalgono i lavori di costruzione della chiesa romanica ancora oggi visibile e del piccolo monastero ad essa annesso. Fra le attività svolte dai monaci, oltre all’accoglienza dei viandanti e dei pellegrini, di particolare importanza fu il lavoro di bonifica dei territori paludosi limitrofi e la messa a coltura degli stessi.
Le rendite agricole furono alla base dello sviluppo e della ricchezza del complesso e finanziarono importanti interventi di decorazione della chiesa e di alcune sale del monastero. La presenza dei monaci è testimoniata almeno fino al 1476, quando la chiesa di San Pietro divenne sede parrocchiale, passando sotto il controllo di diversi prelati, che non vi risedettero mai. Questa situazione di incertezza, durata fino agli anni Trenta del XVI secolo, portò ad un lento decadimento del monastero.
Nel 1536 il monastero di San Pietro in Lamosa passò in mano ai canonici regolari di San Salvatore di Brescia, da subito promotori di una nuova fase di lavori di ampliamento della chiesa e di decorazione di essa.
Con le soppressioni napoleoniche di numerosi enti religiosi, nel 1791 il monastero tornò sotto il controllo di famiglie patrizie locali che lo impiegarono soprattutto per funzioni private. Progressivamente il complesso venne sempre meno utilizzato, cadendo in uno stato d’abbandono generale tanto che, alcune delle stanze un tempo funzionali alla vita dei monaci cluniacensi, vennero riadattate ad abitazione o a magazzino.
Solo a partire dal 1983, con la donazione di tutto il complesso alla vicina chiesa parrocchiale di Provaglio di Iseo (Bs), sono stati avviati importanti lavori di recupero del patrimonio artistico, culturale e spirituale di San Pietro. Promotore di questi importanti lavori è stata la Fondazione San Pietro in Lamosa, che con grande attenzione ha restituito ai visitatori e ai fedeli la semplice bellezza della chiesa e del monastero.
Il complesso di San Pietro ai giorni nostri è costituito, oltre che dalla chiesa e dal monastero, anche dall’oratorio dei Disciplini e da una piccola cappella barocca con funzione funeraria, collocata sul sagrato di fronte alla chiesa.
Esternamente la chiesa preserva ancora le forme caratteristiche dell’architettura romanica, segno tangibile della fase costruttiva avviata dai monaci cluniacensi. Durante questi lavori, la chiesetta privata, che originariamente sorgeva su questo luogo, venne inglobata nel nuovo edificio religioso. Inizialmente la chiesa prevedeva una navata unica senza transetto: in una seconda fase è stata aggiunta la navata settentrionale, ancora oggi caratterizzata dalla presenza di numerose cappelle votive. Dal lato meridionale dell’edificio si accede invece al chiostro e alle altre strutture del monastero, oltre che al piccolo campanile.
Fra Duecento e Cinquecento la chiesa è stata decorata con affreschi di pittori minori attivi nella zona del lago, testimonianza comunque dell’interesse dei committenti per l’abbellimento dell’edificio sacro. Di questa campagna decorativa, priva di un progetto unitario e per questo motivo molto eterogenea, si conservano ancora lacerti interessanti.
Particolarmente significativa è la decorazione della prima cappella, partendo dall’altare, in cui si può ancora ammirare l’affresco raffigurante una Madonna fra Santi, realizzata secondo alcuni studiosi entro la metà del XVI secolo. Sempre risalente allo stesso periodo è una scena raffigurante una Pietà, che dimostra spiccate influenze della pittura nordica e si caratterizza per un forte espressionismo, evidente nei volti scavati dei personaggi e nei loro contorni spigolosi.
Questi due affreschi, così come gli altri che decorano la chiesa, dovrebbero risalire alla committenza dei canonici di San Salvatore di Brescia, confermando la datazione alla prima metà del Cinquecento.
Conosciuta anche come Sala della Disciplina o Oratorio di Santa Maria Maddalena, essa rappresenta una delle stanze più interessanti del complesso di San Pietro in Lamosa. Fu sede della Confraternita dei Disciplini, movimento laico che si diffuse in Italia a partire dal Val Camonica e che ebbe una modesta diffusione anche nel bergamasco e nel mantovano. Gli appartenenti a questa confraternita erano animati da una forte spiritualità, contraddistinta anche da pratiche penitenziali estreme come la flagellazione. Attraverso tale forma di purificazione i confratelli intendevano espiare i loro peccati, meditando sulle sofferenze patite da Cristo nel momento drammatico della Passione. Oltre alle pratiche penitenziali, i Disciplini si dedicavano con particolare attenzione al culto dei morti e alle opere di carità nei confronti dei bisognosi.
I Disciplini, di cui si hanno testimonianze già a partire dal XII secolo, furono attivi fino all’Ottocento suscitando però sempre un certo sospetto da parte della Chiesa, soprattutto dopo la Controriforma.
Anche a San Pietro, la piccola confraternita che riuniva fra i suoi membri alcune delle personalità più significative della comunità locale, continuò le sue attività fino al XIX secolo. Il decadimento generale del complesso portò anche alla chiusura della Confraternita e alla trasformazione dell’oratorio in abitazione privata.
Con il recupero del complesso monastico avvenuto nel corso dell’ultimo quarto del XX secolo sono stati riscoperti e recuperati gli interessanti affreschi, che decoravano la sala. L’Oratorio, oggi riadattato a sala congressuale, offre allo spettatore l’impressione di quello che doveva essere l’aspetto originario della sala. Sulle pareti si possono ancora apprezzare affreschi raffiguranti le scene e i momenti più significativi della Vita e della Passione di Cristo. Proprio tali affreschi, caratterizzati da una forte drammaticità, spronavano i Disciplini a meditare sulle sofferenze patite da Cristo per la nostra Salvezza. L’intera sala doveva essere ricoperta di affreschi, in modo da coinvolgere lo spettatore in un percorso artistico e soprattutto di fede. Gli affreschi rivelano un gusto popolare diretto e immediato, attento all’aspetto decorativo e animato dalla presenza di numerose figure all’interno delle scene.
Il ciclo di affreschi non si è conservato completamente, ma, anche dove le tracce di colore sono andate perse, si sono conservate le sinopie, cioè i disegni preparatori precedenti alla stesura del colore.
Questo testo di Stefano Macconi è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it