Ruggero d’Altavilla e la “reconquista” della Sicilia

Nell’anno 827 inizia l’invasione saracena della Sicilia. Nell’831 viene presa Palermo dopo un assedio che lascia vivi soltanto 3000 dei suoi 70000 abitanti. I cristiani dovevano vestire diversamente dagli islamici, tagliare i capelli sulla fronte, non fare processioni, né piangere i morti, né alzare case più alte di quelle dei musulmani.
Aggiunge Michele Amari nella sua Storia dei musulmani in Sicilia: «fu proibito pure ai vinti di portare armi, montare cavalli, mettere selle ai muli e agli asini, parlare male del Corano e del Profeta, bere vino in pubblico (…) In strada dovevano cedere il passo ai musulmani e, stando in brigata, levarsi in piedi quando entrava uno di loro; era proibito alle cristiane entrare nel bagno quando v’erano le musulmane; era vietato di costruire nuove chiese e nuovi monasteri, suonare le campane, leggere il Vangelo ad alta voce, fare mostra di croci in pubblico, ragionare del Messia …».
Inoltre, ad onta della dichiarata tolleranza, la cattedrale e molte chiese di Palermo furono trasformate in moschee e questo spiega perché il loro numero fosse di almeno 300. È il tempo del martirio di Sant’Oliva e di altri cristiani, dopo il quale «scomparve in Sicilia ogni gloria ed ogni prestigio della Chiesa locale e della religione cristiana», come denuncia una bolla di Papa Urbano II.
Ruggero d’Altavilla riconquista la Sicilia con l’aiuto della Vergine
Quando nel 1061 Papa Nicolò II consegnò al conte Ruggero d’Altavilla un vessillo raffigurante Maria e il Bambino, col mandato di spiegarlo in battaglia per tutta la liberazione della Sicilia dai musulmani, non sapeva certo che quell’impresa sarebbe durata 31 anni. Ma Ruggero, deciso e caparbio come il ruolo esigeva, lo fece. E portò con sé, di battaglia in battaglia, dalla prodigiosa liberazione di Messina dalle preponderanti forze nemiche, fino alla definitiva cacciata dei saraceni dall’isola, questo stendardo, che poi donò alla città di Piazza Armerina, dove attualmente riposa in una maestosa chiesa del ‘600.
Già dalla prima battaglia la protezione della Madonna fu evidente e riconosciuta. Lo stesso avvenne presso Giarre, dove il conte circondato dai musulmani e vistosi perduto, invocò Maria SS., promettendo l’erezione di un tempio se si fosse salvato. Così fu, e Ruggero fece innalzare quello che oggi è il santuario di S. Maria della Strada. Al primo assedio di Palermo (1064), i normanni sono decimati da velenosissimi ragni. Ruggero invoca Maria che gli appare e lo esorta ad accendere un gran fuoco; tanto basta perchè il flagello cessi. Il fatto è ricordato in un mosaico del santuario della Madonna dei Rimedi, eretto nel luogo dove il Granconte fece erigere un omonimo tempietto.
Maria riappare a Ruggero a Palermo nel 1071, durante il secondo e vittorioso tentativo di liberare la città, «con augusto sembiante più che humano, vestita di roscio col Figliolo nella sinistra e lo stendardo nella destra sopra una porta, per la quale entrato, conquistò la città», come ci narrano Marco Allegrambe e Antonio il Verso. Tale porta venne poi nominata Porta Vittoria, vi fu eretta a ridosso la chiesa di Maria delle Vittorie, e all’altare fu posta una lapide che ricordasse il fatto. Nel 1072 un’altra battaglia decisiva si svolse a Mazara del Vallo. Anche qui Ruggero, attribuendo a Maria SS.ma la vittoria, realizzò il santuario della Madonna dell’Alto.
Ma nel 1091 i musulmani tornano in forze e si presentano sulla costa di Scicli con 600 chelandre e 60.000 uomini. Gli sciclitani si schierano sulla spiaggia, giusto per vendere cara la pelle, dopo avere pregato la Beata Vergine. Ed ecco apparire in alto la Madonna, su un bianco destriero con la spada in pugno, mentre una fitta nebbia avvolge improvvisamente i saraceni che nella confusione si uccidono fra loro. Giunge in quel momento Ruggero con una schiera di normanni e insieme agli sciclitani attacca il nemico, ricacciandolo in mare. La “Madonna delle Milizie” viene ancora ricordata da una grande statua equestre e la battaglia viene ancora ricostruita.
Altra decisiva battaglia fu quella di Cerami (1063), vinta (come quasi tutte le altre) in condizioni di grave inferiorità numerica (500 contro 30.000?) con la forza della fede in Dio e in san Giorgio, che apparve a combattere con i cristiani, come testimoniano le fonti dell’epoca. Dopo questa battaglia il conte fece incidere sul proprio scudo: Dextera Domini fecit virtutem. Dextera Domini exaltavit me, ed inviò 4 cammelli al Papa Alessandro in Roma; questi inviò l’assoluzione e la benedizione apostolica al conte e a tutti i suoi; nonchè il vessillo con le insegne papali.
Questo retroterra spirituale, questa consapevolezza di assolvere un mandato divino è certamente il principale segreto che permise a poche centinaia di cavalieri normanni di conquistare l’isola, saldamente tenuta dai saraceni da più di due secoli: un autentico … miracolo militare. Un pugno di uomini eliminarono la più importante base marittima dell’Islam, da cui partivano razzie e spedizioni militari contro il meridione d’Europa, riuscendo in un compito in cui i due imperi, d’oriente e d’occidente, avevano fallito.
Stile, valore, cultura; chiamata divina al ruolo storico della Militia Petri! La liberazione della Sicilia getta le premesse per la costituzione degli ordini monastico-cavallereschi e per le crociate, di cui la prima fu bandita poco dopo. Essa costituisce, altresì, con la reconquista spagnola l’inizio della reazione del mondo cristiano all’assalto musulmano che imperversava da secoli contro l’Europa.
Il Granconte Ruggero d’Altavilla
Ma il granconte non è il solo a cercare, ad ottenere, e a riconoscere il favore del cielo nella sua azione. Da lui in poi (ma anche il fratello maggiore, Roberto il Guiscardo, non è da meno) è un continuo rivolgersi e ringraziare Cristo e Maria SS.ma, segnato dalla costruzione di grandi chiese e monasteri a Lei intitolati. Citiamo soltanto le più grandi e stupende costruzioni di stile arabo-normanno: il Duomo di Cefalù, quello di Monreale, la Cappella del Palazzo Reale di Palermo e la ristrutturazione della Cattedrale del capoluogo, già trasformata in moschea.
Ma chi è il capostipite di questa dinastia, la più felice che abbia regnato in Sicilia? È sempre il Malaterra a descriverlo: «Egli era giovane e assai bello, di alta statura e di proporzioni eleganti, pronto di parola, saggio nel consiglio, lungimirante nel trattare gli affari. Sempre di carattere piacevole ed allegro, era pure dotato di grande forza e di grande coraggio nei combattimenti: per tutti questi pregi in breve meritò ogni credito».
Egli fu quindi il classico modello del condottiero e del cavaliere medioevale, in cui energia fisica, virtù e nobile aspetto sono fusi in un’unico crogiuolo di bellezza. Egli dà l’esempio di come, prima di ogni battaglia sia bene allenarsi per preparare il corpo e comunicarsi per rafforzare l’anima; ed ammonisce sempre i suoi guerrieri in tal senso.
Fu anche padre e sposo amoroso e sensibile, e tali doti naturali vengono infine coronate da una sacra investitura, di cui Ruggero ed i suoi successori erano ben consci e che trova la sua più bella rappresentazione nella chiesa palermitana di S. Maria dell’Ammiraglio (poi chiamata Martorana), dove uno spendido mosaico raffigura Gesù nell’atto di incoronare Re di Sicilia il figlio del Granconte, Ruggero II, paludato da Basileus, con indumenti bizantini. Un’osservazione più attenta rivela all’osservatore che Gesù e Ruggero hanno … lo stesso viso; ovvero la loro autorità ha un’unica fonte; essi sono fratelli, sia pur gerarchicamente ordinati.
La saggia politica di Ruggero
Ma un secondo miracolo fu quello politico. Come potè Ruggero, rimasto con pochi uomini, tornato il Guiscardo nel meridione d’Italia dopo la conquista di Palermo (1071), estendere il controllo a tutta l’isola, pacificarla e renderne felici gli abitanti? Certamente egli incoraggiò l’immigrazione di italiani e longobardi, importò e costitui ex-novo il culto e la gerarchia ecclesiastica di rito latino, mantenne e rilanciò quello greco (rifonda 14 comunità basiliane e importa monaci greci dal meridione d’Italia), e applicò una politica di tolleranza verso gli islamici, ancora numerosissimi, ed ebrei, preferendo sempre la via della persuasione all’uso della forza.
Ruggero operò la pacificazione nel contesto di una politica inizialmente non popolare (aumento della tassazione per tutti e leva militare di un anno). Ma nonostante tali difficoltà egli riesce a creare uno stato multirazziale e poliglotta, in cui tutti trovarono la propria collocazione (anche nella classe dirigente). Certamente ciò fu dovuto alla amore di quest’uomo eccezionale per la Sicilia e alla sua flessibilità che diventò il metodo di una classe politica, anche per i suoi successori. Dice Hiroshi Takayama, dell’università di Tokyo, esperto dei normanni in Sicilia: «le lingue, le civiltà si intrecciavano tra di loro secondo un modello di tolleranza e di apertura civile: costumi francesi, tradizioni arabe, strutture bizantine e tradizione della chiesa latina costituivano un disegno organico ed efficiente».
Sappiamo addirittura di liturgie cristiane praticate in lingua araba, ma anche di «musulmani che frequentissimi soggiornano in Palermo, in propri quartieri, con loro moschee e mercati, e un qadi, giudice di loro liti: ed avvenne anco in altre città, oltre le campagne ed i villaggi». Possiamo senz’altro ritenere che il rispetto dell’identità di ognuno produsse una società pacifica, elegante, colta ed opulenta, che l’autorità divina del re (tale fu il titolo da Ruggero II in poi) armonizzava e faceva ben progredire con una efficienza amministrativa sconosciuta per l’epoca.
Riorganizza la Chiesa
Ma Ruggero I era anche a capo della Chiesa, che apprezzò tanto la sua opera, come si evince dalla sua nomina a legato pontificio. Già dall’inizio della reconquista il Conte aveva provveduto a riorganizzare le diocesi e a nominarne i vescovi. La Legazia Apostolica manteneva nella sostanza la posizione di privilegio della monarchia, ma la sottometteva all’autorità papale, salvando così i principi della riforma gregoriana e facendola propria alleata per sempre. Essa rimase in vita, di monarca in monarca, fino alla sua definitiva soppressione ad opera di Pio IX nel 1867; la realtà politica italiana non permetteva più alcuna collaborazione.
Certamente la dinastia normanna costituì il regno più brillante e potente che la Sicilia abbia conosciuto. Essa divenne una potenza mediterranea, con un peso politico straordinario anche sugli avvenimenti europei. Le stesse politiche imperiali, le crociate e la storia della Chiesa ne furono condizionate. Rimangono i suoi monumenti, la sua cultura, la nostalgia nel cuore dei siciliani ed il ricordo di un uomo, prototipo di cavaliere e di sovrano, il Granconte Ruggero, che visse di questa certezza: «Dio è immutabile; se non muteremo la nostra integra fede, Dio non muterà la Sua volontà di aiutarci a vincere».