Qual è il pensiero che conduce alla legalizzazione del suicidio assistito?

Il 25 Settembre la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Dopo aver puntualizzato le conseguenze dei concetti elencati dalla Consulta, in questa puntata ci dedicheremo soprattutto ad analizzare il pensiero che ha portato a tale terribile risultato, mostrando che la rivendicazione alla legittimità al suicidio, in nome di un potere libero e sovrano su se stessi, è la breccia per determinare un sistema politico in cui il potere legislativo decide “democraticamente” la legittimità a vivere o meno di ogni cittadino.
Da un lato, il potere politico non interviene sulla decisione individuale di suicidarsi e offre anzi spazi giuridici e medici di applicazione decisionale, dall’altro, non si limita quando deve prendere decisione sulla vita del cittadino, nella misura in cui questa sia stata giudicata indegna da quello stesso potere, in virtù dell’identico criterio di dignità.