Processo psicologico dell’atto morale

Nella scorsa puntata avevamo cominciato a studiare gli atti umani e ci eravamo lasciati con una loro suddivisione. Oggi vediamo, più in particolare, il processo psicologico dell’atto, ovvero in che modo l’anima umana pone in essere un atto.
IL PROCESSO PSICOLOGICO DELL’ATTO MORALE
Quando si analizza l’atto umano, se ne scopre la grande complessità, a causa dei numerosi elementi, conoscitivi e volitivi a un tempo, che lo condizionano e lo costituiscono. Ogni nostro atto è compiuto in modo così naturale che nemmeno ci accorgiamo di quello che stiamo per vedere e può apparire come una “complicazione”, ma è assolutamente utile per vedere come intelletto e volontà confluiscono in ogni singolo atto della nostra vita.
Vediamo allora insieme gli undici elementi del processo psicologico dell’atto libero.
Relativamente al bene o al fine da perseguire, dapprima l’intelletto si pone l’idea di un bene amabile o, equivalentemente, di un fine desiderabile. Successivamente esso instaura un amore di compiacenza per questo bene o fine. A questo punto subentra la volontà che dapprima emette un giudizio che valuta la possibilità di conquistare questo bene o di raggiungere questo fine e pone quindi in essere una volontà efficace di tendere al conseguimento del fine.
Relativamente ai mezzi da impiegare per il conseguimento del fine, l’intelletto dapprima compie una deliberazione che è istituita allo scopo di cercare i mezzi per raggiungere il fine voluto (consiglio), e pone in essere un giudizio che si ferma sul mezzo più idoneo per conseguire il fine desiderato (giudizio pratico). La volontà, d’altro canto, emette un consenso ai diversi mezzi proposti dall’intelligenza e infine sceglie il mezzo giudicato più idoneo (elezione).
Relativamente all’esecuzione dell’atto per l’ottenimento del fine, l’intelletto decide o comanda l’attuazione del mezzo (e conseguentemente dell’atto) e ciò viene chiamato imperio o precetto. Dopo di che la volontà, guidata dal comando emesso dall’intelletto pone in esercizio le facoltà d’esecuzione richieste. Essendo poi stato posto in essere l’atto dall’una o dall’altra delle facoltà da cui dipende (actus imperatus o usus passivus) la volontà gode (fruitio) del possesso del bene desiderato o del conseguimento del fine.
Facciamo un esempio pratico che esemplifichi questo processo per un atto comunissimo come quello dello studio. Innanzitutto serve un atto dell’intelletto che riconosca e desideri il fine dell’accrescimento della conoscenza, che è esattamente il fine per il quale si studia (escludiamo qui fini secondari meno nobili, come per esempio, prendere semplicemente un bel voto e vantarsene o per primeggiare rispetto agli altri). Dopo di che, la volontà valuta se c’è effettivamente una possibilità o meno di raggiungere questo fine (dato che all’impossibile nessuno è tenuto e potrebbero esserci diversi motivi per cui non è possibile studiare: ad esempio perché si è persone semplici, oppure perché le condizioni economiche non lo consentono, oppure perché c’è una situazione di guerra che non consente di andare a scuola). Una volta fatto questo, si pone come obiettivo quello di tendere all’accrescimento della conoscenza. L’intelletto, a questo punto, valuta quali sono i mezzi più opportuni per ottenere questo obiettivo: ad esempio andare a scuola, rivolgersi a delle persone esperte di un determinato settore, leggere dei libri ecc. ed emette un giudizio su quello più idoneo (mettiamo che sia il frequentare una scuola, dal momento che, almeno in ipotesi, in essa si possono trovare sia dei docenti esperti di un certo settore, sia i libri con le informazioni necessarie per accrescere la conoscenza). La volontà a questo punto acconsente all’utilizzo di tali mezzi e sceglie quello più idoneo, nel nostro esempio, la volontà sceglie di frequentare la scuola. Però questo ancora non basta, perché l’intelletto deve emettere un comando di mettere in moto le facoltà che mi permettano di andare a scuola (per esempio le facoltà motorie che mi permettono di alzarmi la mattina e spostarmi per dirigermi verso l’edificio scolastico, ma anche le facoltà della memoria per ritenere quanto viene insegnato e la facoltà visiva/uditiva per leggere, ascoltare e apprendere). Una volta ricevuto il comando dell’intelletto, la volontà pone in esercizio la facoltà motoria, mnemonica, visiva, uditiva ecc. che convergono tutte nell’atto dello studio che effettivamente consente allo studente di prendere possesso del fine desiderato, ovvero l’accrescimento della conoscenza. Da ciò, la volontà gode del possesso della conoscenza e ciò si manifesta attraverso l’appagamento che deriva dall’aver soddisfatto questo fine di ogni creatura razionale e dell’aver compiuto il proprio dovere di studente.
I gradi di volontarietà
Abbiamo visto che l’atto umano, da una parte, suppone la conoscenza del fine come tale e, dall’altra parte, la libera scelta delle determinazioni della volontà; per conseguenza, ciò che sopprime o diminuisce l’una o l’altra delle due condizioni essenziali, sopprime o diminuisce proporzionalmente la volontarietà dell’atto. In quest’ordine di ostacoli, la prossima volta distingueremo quelli immediati – quali il timore, la passione, l’ignoranza e la violenza – e quelli remoti, quali il temperamento e gli stati patologici.
Ci diamo appuntamento al prossimo martedì.