Oggetto di studio e definizione della morale

In questo primo podcast introdurremo lo studio della morale dapprima definendo qual è l’oggetto di cui si occupa tale disciplina, che vedremo poi essere una scienza a tutti gli effetti, per poi darne una definizione il più possibile rigorosa. Quando parliamo di “oggetto della morale” intendiamo rispondere alla domanda: “cosa studia la morale?”. La risposta in genere è scontata per le scienze che studiamo a scuola: la biologia è la scienza che studia la vita nelle sue molteplici forme, la chimica è la scienza che studia la composizione microscopica delle sostanze, la fisica è la scienza che studia i fenomeni naturali e le leggi che li regolano. Per la morale è un po’ meno scontato, ma andiamo con ordine.
I termini morale ed etica derivano dalle parole rispettivamente latina e greca che indicano i costumi (mores, etos). Da ciò ci si può domandare quale sia l’oggetto materiale della morale: se si tratta di scienza relativa ai costumi o alla condotta morale dell’uomo. In questo caso, tuttavia, meno che in altri, una definizione per mezzo dell’oggetto materiale non potrebbe bastare: occorre sapere sotto quale aspetto conviene, in morale, considerare i costumi dell’uomo. Perciò dobbiamo innanzitutto cercare di determinare, con la massima precisione possibile, l’oggetto formale proprio e la natura della morale o etica, così come il metodo richiesto da questo oggetto. Quando parliamo di “materiale” e “formale” dobbiamo rifarci a ciò che la metafisica, cioè lo studio del reale, ci dice circa la “materia” e la “forma”. Così come non si può parlare di persona senza ambedue corpo e anima (cioè materia e forma), così non si può avere morale senza un oggetto materiale e formale.
Fatte queste precisazioni, bisogna distinguere due grandi categorie di scienze morali: le scienze morali teoriche, che sono scienze di fatti e studiano l’uomo, individuale o collettivo, quale egli è (psicologia, sociologia, geologia umana, storia), le scienze morali pratiche, o scienze morali propriamente dette, che si presentano come scienze normative, vale a dire che mirano a definire le leggi alle quali deve conformarsi l’attività umana: tali sono la morale e la politica.
Per il momento dobbiamo attenerci a definizioni nominali. In conseguenza, considerando la morale come scienza normativa, intendiamo partire dalla nozione comune della morale come scienza specificamente distinta dalle scienze puramente speculative. Ora noi constatiamo che la morale così considerata comporta i seguenti aspetti che formano quello che possiamo chiamare «il fatto morale».
- Il primo aspetto è l’analisi della coscienza morale. Il fatto morale, alla analisi, rivela tutto un complesso insieme di elementi razionali (che chiamiamo giudizi), affettivi (che chiamiamo sentimenti) e attivi (ovvero la volontà).
I giudizi precedono e seguono l’atto morale. Prima dell’atto, essi enunciano (in dipendenza dal giudizio universale «è evidente che bisogna fare il bene ed evitare il male») che un dato atto è buono o cattivo e deve (o può) essere posto, oppure deve essere evitato. Dopo l’atto, la coscienza approva o biasima, a seconda che l’atto compiuto è giudicato buono o cattivo; essa valuta in conseguenza l’aumento o la diminuzione del valore morale dell’agente e la ricompensa o il castigo meritati per il compimento del bene o del male; essa enuncia l’obbligo di riparare il danno causato ad altri o il diritto di ottenere per sé le soddisfazioni richieste dalla giustizia. Questi giudizi pongono in opera, come si vede, numerosi concetti: concetti di bene e di male, di dovere e di obbligo, di responsabilità, di merito e di demerito di sanzione, di diritto e di giustizia. Tutte cose che vedremo in seguito.
I sentimenti morali comportano, prima dell’atto, l’attrattiva per il bene e la ripugnanza per il male, il rispetto per il dovere e di conseguenza la simpatia e l’ammirazione, l’antipatia e il disprezzo per la buona o la cattiva condotta altrui. Dopo l’atto, la coscienza conosce sentimenti di gioia per il dovere compiuto, o di scontentezza e insoddisfazione per il dovere violato. Questa insoddisfazione di sé si manifesta in tre modi: con la vergogna prodotta dalla vigliaccheria di fronte al dovere e dallo scadimento che ne risulta; con il rimorso o rimprovero della coscienza di aver violato l’ordine che essa ha pronunciato (quando non vi è stata violazione d’un ordine formale della coscienza o anche quando l’atto è stato involontario, la coscienza prova, non rimorso, ma rimpianto); infine con il pentimento che comporta l’accettazione del castigo destinato a riparare la mancanza, e la risoluzione di evitare di fare il male in avvenire. Se notate, vergogna, rimorso e pentimento, sono proprio i tre elementi caratteristici del penitente quando si confessa.
Gli elementi attivi consistono nei diversi atti di volontà che intervengono in funzione del fine (si parla di volontà efficace di realizzare tale fine), in funzione dei mezzi da scegliere (ovvero l’elezione), in funzione dell’esecuzione (volere che mette in opera le facoltà richieste).
- Il secondo aspetto è la specificità del fatto morale. Ciò che caratterizza la coscienza morale sin qui analizzata, è che essa si comporta come un legislatore e un giudice e non come un semplice testimonio, che essa decide ciò che deve essere fatto in ogni caso, e che è essa stessa dominata da un ideale di moralità, in rapporto al quale essa dichiara la responsabilità del soggetto morale.
- Il terzo aspetto è l’universalità del fatto morale. Il fatto morale è universalmente nell’umanità e caratterizza la specie umana. Ciò evidentemente non significa che la condotta umana sia sempre e necessariamente conforme alle leggi della morale, ma solo che dovunque e sempre, gli uomini hanno ammesso l’esistenza di valori morali, distinti dai valori materiali e si sono riconosciuti sottomessi a leggi morali, distinte dalle leggi fisiche e enuncianti un ideale di condotta. Perciò, rinunciare a tali nozioni equivarrebbe a rinunciare all’umanità e scendere al livello del bruto privo di ragione.
Possiamo adesso precisare sotto quale aspetto la morale considera il suo oggetto, che la specifica come scienza distinta e autonoma.
- L’OGGETTO MATERIALE della morale sono gli ATTI UMANI – Si distingue fra atti dell’uomo e atti umani. Gli atti dell’uomo sono tutti gli atti, volontari o no, compiuti dall’uomo: digerire è un «atto dell’uomo» allo stesso titolo che ragionare e amare. Gli atti umani sono gli atti che l’uomo compie per mezzo della sua volontà libera: così amare e ragionare, ma non digerire. La morale si applica ai soli atti umani, vale a dire ch’essa considera l’uomo solo in quanto egli è padrone dei suoi atti. Tutto ciò che si trova fuori del dominio della libertà, si trova (almeno direttamente) fuori del dominio della morale.
- L’OGGETTO FORMALE della morale è LA MORALITÀ – Non basta, tuttavia, assegnare gli atti umani alla morale poiché ciò non la distinguerebbe dalla psicologia o dalla sociologia che pure considerano (seppur non esclusivamente) le attività libere dell’uomo. Specifica formalmente la morale il fatto che essa studia gli atti umani dal punto di vista della moralità, vale a dire dal punto di vista della loro conformità o della loro non-conformità alla regola ideale della condotta umana, o, in generale, dal punto di vista del loro valore relativamente al fine ultimo dell’uomo. In pratica: mi permette oppure no un determinato atto a giungere al mio fine ultimo? La psicologia e la sociologia fanno astrazione da questo punto di vista.
Concludiamo questo primo appuntamento con una definizione della morale. Per ottenere una buona definizione, bisogna includere al tempo stesso l’oggetto formale della scienza morale e il suo carattere normativo o pratico. Diremo dunque che la morale è la scienza delle leggi ideali dell’attività libera dell’uomo, in quanto tale, – o anche, in modo più esplicito, che la morale è la scienza che tratta dell’uso che l’uomo deve fare della sua libertà per raggiungere il suo fine ultimo. Molte altre definizioni sono state proposte, anche valide, ma meno precise. Così è stata definita la morale come «la scienza del bene e del male», – «la scienza dei doveri e delle virtù», – «la scienza della felicità o del fine dell’attività umana» , – «la scienza del destino umano». Queste formule hanno il difetto di non rilevare abbastanza il carattere essenzialmente normativo e pratico della morale e di sottolinearne troppo esclusivamente l’aspetto speculativo.