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Morale Generale, fini intermedi e Fine Ultimo

Teologia Morale06 Dicembre 2022
Testo dell'audio

La morale generale ha per oggetto di determinare le condizioni generali della rettitudine morale degli atti umani. La prima e universale condizione di questa rettitudine è che gli atti umani siano ordinati al fine ultimo dell’uomo. Dovremo quindi prima di tutto definire in cosa consiste questo fine ultimo come pure la legge morale e i doveri e diritti che ne risultano. Dovremo poi considerare gli atti stessi con i quali l’uomo, obbedendo alla legge morale, si orienta verso il suo fine ultimo: studieremo questi atti al tempo stesso nel loro essere fisico, che risulta dalla volontà libera (poiché i soli atti umani sono quelli che procedono dal libero arbitrio), e nel loro essere morale, considerato oggettivamente e soggettivamente, e infine nelle proprietà derivanti dalla loro qualità morale.

 

Dallo studio della metafisica sappiamo che i concetti di fine e di bene coincidono, essendo il fine e il bene oggettivamente una sola e medesima cosa, e che il fine e il bene d’un essere sono in funzione della sua natura. Qui è necessario chiarire brevemente cosa si intende: è chiaro che se ho a che fare con una pianta, il suo bene sarà radicalmente diverso da quello dell’essere umano. Il bene per la prima è essere innaffiata, il bene per l’uomo non è questo, ma avere il cibo necessario per potersi alimentare. Le sostanze nutritive sufficienti alla pianta per sopravvivere non sono invece sufficienti per l’uomo, che ha bisogno di molti più elementi, più complessi, che trae direttamente dal cibo. Per la pianta è un “bene” ricevere l’acqua e le è sufficiente. Per l’uomo non sarebbe un “bene” ricevere solo questo tipo di nutrimento, perché non sarebbe sufficiente e ciò deriva dalla sua natura, , dalla sua intima struttura.

 

Noi partiamo da questa nozione della finalità universale, perché in essa la finalità morale trova il suo fondamento metafisico. Essa, infatti, rende conto della struttura della volontà, che da una parte, come accade per tutte le nature, è sottomessa al determinismo del fine, dall’altra è però libera, come facoltà, nella scelta dei mezzi per il conseguimento del fine ultimo. Il principio della finalità universale permette anche di determinare la gerarchia dei fini ai quali l’attività morale si ordina, perché l’ordine metafisico, che si definisce con l’unità, subordina i fini secondari a un fine ultimo, che dovrà ritrovarsi, per spiegarli e giustificarli, in tutti i passi della volontà. L’ordine degli atti umani sarà dunque, in certo modo predeterminato dalla costituzione metafisica della volontà e, per conseguenza, la finalità metafisica sarà realmente il principio direttivo dell’attività morale.

Tale ci appare la via da seguire nel nostro studio: dopo avere stabilito che l’ordine della moralità dipende necessariamente dal fine ultimo, ove l’uomo troverà il compimento e la perfezione della sua natura, cioè il suo bene sommo e la sua felicità perfetta, determineremo in cosa consiste concretamente questa perfezione che costituisce il sommo bene dell’uomo.

 

Il determinismo del fine

 

Consideriamo ora degli atti umani, cioè quelli propri dell’uomo in quanto essere ragionevole e che, di conseguenza, procedono dalla sua intelligenza e dalla sua libera volontà. Non possiamo evidentemente confonderli con quelli di cui l’uomo è l’autore incosciente o irresponsabile e che, a questo titolo, sono dell’uomo soltanto materialmente. Ora noi diciamo che tutti gli atti umani sono necessariamente ordinati a un fine. Infatti, non vengono fatti a caso, perché dipendono al tempo stesso dall’intelligenza, che esclude il caso, e dalla volontà, che ha per oggetto il bene.

 

Il fine degli atti umani è conosciuto come fine. Ciò è proprio degli atti umani. L’uomo non cerca il suo fine come la pietra o come l’animale: egli lo persegue coscientemente con l’intelligenza ch’egli possiede del rapporto dei suoi atti con il suo fine. Ciò equivale a dire che egli possiede la nozione di fine e la nozione di bene, nozioni che si identificano nella realtà, poiché la volontà non può essere mossa che dal bene e non trova il fine o il termine del suo moto che nel conseguimento del suo bene. Così il fine o il bene sono al tempo stesso il principio e il termine degli atti umani: il principio, perché il fine voluto o la volontà di conseguire il fine determina l’attività umana (finis in intentione), il termine, perché al conseguimento del fine tendono tutti i passi e tutte le aspirazioni dell’uomo (finis in executione).

 

Il fine ultimo

 

Abbiamo visto che, in ogni suo atto deliberato, l’uomo persegue un fine. Constateremo adesso che questa attività dell’uomo non può spiegarsi che con l’attrattiva d’un fine ultimo o di un bene sommo, desiderato per se stesso, come termine assoluto di tutte le aspirazioni dell’uomo.

 

Diciamo che l’uomo agisce soltanto in vista di un fine. Ma questo stesso fine è un fine ultimo oppure non è che un mezzo in relazione a un fine ulteriore? In quest’ultimo caso è evidente che il fine non è voluto per se stesso, ma trae la sua efficacia da un bene ch’esso deve procurare. A sua volta quest’ultimo o dipenderà da un bene più generale o sarà il fine ultimo e il bene supremo dell’attività umana. In ogni modo, dovremo arrivare a qualche bene supremo, a qualche fine ultimo che rappresenti la parte di causa prima in rapporto a tutti i fini particolari. Poiché è impossibile fermarsi a metà strada, né è possibile andare all’infinito (il che sarebbe la stessa cosa): o non vi è nessun fine, né per conseguenza nessun bene, né desiderio, né moto, o c’è un fine ultimo. Qui le cause seconde, che sono i fini particolari vengono spiegate soltanto con l’influsso di una causa assolutamente prima, cioè di un fine ultimo e di un bene supremo.

 

Il fine ultimo non può essere molteplice. Esso rappresenta, infatti, in relazione a tutti gli atti umani, la parte di causa prima e racchiude tutti i beni particolari che l’uomo può desiderare. Se, d’altra parte, il fine risulta dalla natura, di cui esso definisce il bene supremo (ognuno agisce secondo ciò che è), non vi può essere che un fine là dove non c’è che una natura. Il fine ultimo potrà e dovrà riflettere le complessità della natura, ma sarà necessariamente unico, perché l’unità di natura implica l’unità di fine.

 

La volontà, appetito razionale, è determinata in modo necessario dal bene (voluntas ut natura), nel senso ch’essa non può niente desiderare né perseguire che sotto l’aspetto del bene. In virtù di questa legge di natura, il bene è dunque l’oggetto adeguato della volontà e possiamo dire, con Socrate, che «nessuno fa il male volontariamente». Se il bene offerto alla volontà fosse buono universalmente e sotto tutti gli aspetti, la volontà tenderebbe necessariamente verso di esso; in tutti i beni parziali e imperfetti che essa persegue, ha sempre in vista questo bene perfetto e assoluto; da esso procede tutto il suo moto.

Possiamo così comprendere che è la stessa cosa dire che il bene è l’oggetto necessario della volontà e dire che è il fine assolutamente ultimo della volontà. Infatti, il fine ultimo non può essere l’oggetto di una scelta, poiché risulta dalla natura, che è data e non scelta. Tutto ciò che è oggetto di scelta non è che fine intermediario (o mezzo) e suppone un fine ulteriore e ultimo, non scelto, ma assolutamente necessario. L’ufficio proprio della ragione pratica essendo di regolare moralmente gli atti, consisterà quindi nello scegliere i mezzi o fini intermediari con i quali l’inclinazione implicita e necessaria al fine ultimo risulterà trasformata in una volontà esplicita e liberamente ordinata.

Non è necessario che il fine ultimo sia sempre l’oggetto di una intenzione esplicita. Il più delle volte esso non è perseguito che in modo implicito e confuso, in quanto è presente virtualmente nei fini intermediari che ci si propone chiaramente. Ma è sempre presente almeno virtualmente in ogni atto libero, perché i fini intermediari non possono avere efficacia che in funzione del fine ultimo, da cui proviene tutto il moto della volontà.

Facciamo un esempio pratico: mettiamo che voglia comprare un’automobile. Il mio primo fine, dunque, sarà quello acquistare questo bene. Tuttavia, non posso fermarmi qui e lasciare l’automobile ferma, sarebbe un bene inutilizzato e quindi “sprecato”. Mi rendo conto che il mio fine non può esaurirsi nell’automobile in sé. Mi pongo quindi come fine ulteriore quello di usarla per spostarmi e dirigermi in un determinato luogo. Ma anche questo non può essere un fine in se stesso, perché io mi sposto in un luogo solo se ho lì ho un impegno. Poniamo quindi che io usi l’automobile per andare a Messa e rendere il giusto culto di adorazione a Dio. Questo lo faccio avendo come fine ulteriore la mia santificazione e così unirmi a Dio fino ad ottenere il Paradiso. Quindi ecco che la concatenazione di fini intermedi (acquisto dell’automobile, viaggio, partecipazione alla Messa, adorazione di Dio, santificazione personale) mi ha portato ad un bene finale, ultimo appunto nel quale si esaurisce la mia azione.


Nel prossimo podcast, vedremo in maniera più approfondita che cosa si intenda per fine ultimo e quali sono le sue caratteristiche.

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