Lo “spettacolo del bello”

Alla fine di marzo del 1762 Giovanni Battista Tiepolo era in viaggio verso Madrid, convocato da re Carlo III di Spagna per la realizzazione di alcuni affreschi nel nuovo Palazzo Reale. Il pittore recava con sé un bozzetto per la grande volta della sala del Trono, che avrebbe rappresentato, in una complessa elaborazione visiva, l’apoteosi del regno di Spagna.
Pittore dei re, dei nobili e dei patrizi, Tiepolo, nel corso di una lunga e fortunata carriera, aveva fatto della magniloquenza della luce e dei colori chiari e brillanti la sua cifra stilistica; la capacità eccelsa di destreggiarsi sia nella composizione delle sublimi pale d’altare, sia su enormi superfici murarie, nel caso degli affreschi, al fine di ottenere un trionfo di elementi figurativi, gli permetteva di offrire l’esempio agiografico di un santo o l’esaltazione del nome e delle gesta di una casata, con la più sorprendente – e apparente – facilità. Eppure questo risultato fu raggiunto dal pittore attraverso varie e stratificate fasi nel corso della sua formazione in ambito veneziano.
Lo scrittore e collezionista d’arte Francesco Algarotti (1712-1764) lo definì un «gran conoscitore di maniere», cogliendo un punto decisivo del talento di Giovanni Battista. Egli in effetti riuscì a convogliare nelle sue opere molte tra le esperienze più significative della grande pittura italiana, passata e contemporanea, raggiungendo un apice che in quel momento fu la più notevole espressione di modernità, in un intenso slancio verso il futuro, destinato purtroppo a spegnersi rapidamente nei suoi diretti successori.
Il giovane artista ebbe modo di formarsi l’occhio e il gusto nella cosmopolita realtà veneziana, culturalmente vivace e aperta verso l’Europa, grazie al passaggio continuo di principi e personalità del bel mondo durante il consueto Grand Tour ossia il viaggio alla ricerca del bello e dell’arte attraverso la penisola italiana. Le due principali correnti pittoriche nella città lagunare si erano sviluppate già dalla seconda metà del Seicento, articolandosi da un lato su princìpi accademici volti ad un’espressività chiara, piacevole ed equilibrata, mentre sul versante opposto si andava costituendo una soluzione di forte impatto chiaroscurale, fondata sul contrasto di luci e ombre e realizzata con colori densi e pastosi.
Tiepolo studiò e soppesò attentamente tutti questi elementi fino a raggiungere un’esecuzione, che sfiorava la perfezione: comprese come dosare la brillantezza dei colori e la luce naturale degli spazi; lavorò sulle forme spingendosi oltre le più azzardate prospettive, grazie anche alla collaborazione con pittori quadraturisti di grande mestiere, in grado di realizzare per lui complicate architetture dipinte. In questo modo egli riuscì a costruire meravigliose figure in movimento, sempre in rotazione, capaci di spingersi in basso verso il riguardante e poi, con uno slancio, allontanarsene nuovamente, ristabilendo quella distanza fisica tra il mondo reale e quello della fantasia.
Così vengono raccontati, nei suoi affreschi, gli eroi e gli dei della mitologia greco-romana, le allegorie, le figure bibliche, i personaggi storici, attori delle complesse vicende delle casate reali. Evidentemente l’artista non imita la realtà naturale nelle sue opere, bensì vi dispiega una moltitudine di personaggi e situazioni che creano un universo parallelo, trovando una forma sempiterna nelle meravigliose volte e pareti affrescate.
Ma sono gli eroi della Cristianità, che popolano soprattutto le tele nelle chiese, a superare davvero la distanza tra spettatore e soggetto rappresentato. Maria con il Bambino, l’Immacolata Concezione, le apparizioni della Vergine, le vicende sacre, i santi e i martiri: sono queste le immagini che entrano maggiormente nella vita di un popolo; a loro direttamente si rivolgono le preghiere dei devoti. Il riguardante può bearsi dei colori luminosissimi di tali ardite invenzioni, aggiungendo la propria emozione a ciò che vede, in un continuum ininterrotto tra visione e immaginazione.
Al di là dell’interpretazione psicologica offertaci dalla maggior parte della storiografia artistica, che legge le creazioni tiepolesche in una luce più ironica che seria e dunque carica di una certa, voluta “distanza” tra il soggetto dipinto e lo spettatore, ciò che alla fine Tiepolo rappresenta nelle sue ardite e clamorose storie visive è un magnifico e ridondante “spettacolo del bello”, messo in scena per rievocare la nostra tradizione culturale, fissandone per sempre gli elementi costitutivi storici, letterari e soprattutto spirituali attraverso la luce e il colore.
Questo testo di Michela Gianfranceschi è tratto da Radici Cristiane. Visita radicicristiane.it