Lo Spedale degli innocenti

Venerdì 5 febbraio 1445: Agata Smeralda fu la prima bambina ad essere deposta sulla “Pila” di pietra, che costituiva il passaggio per l’accoglienza dei fanciulli abbandonati del nuovo Spedale degli Innocenti, a Firenze. Nonostante le cure, la piccola visse solo pochi mesi, vittima di una delle tante malattie ch’erano causa dell’alta mortalità infantile del tempo.
Il fenomeno dei bambini abbandonati è segnalato a partire dal 1200/1300 in modo abbastanza regolare: prima furono accolti in prevalenza presso i monasteri, poi nelle prime istituzioni ospedaliere cittadine. Ma è nel 1400, che vengono costruiti i brefotrofi specializzati nella cura dei piccoli. Come quello di Firenze.
Lo Spedale degli Innocenti di Firenze fu realizzato grazie a un lascito testamentario di 1.000 fiorini del mercante pratese Francesco Datini ed agli introiti successivi di singoli benefattori (altri mercanti e principalmente dall’Arte della Seta), su progetto iniziale di Filippo Brunelleschi. Il nome “Innocenti”, rievocando l’episodio raccontato dall’evangelista Marco (2,1-16) della strage perpetrata per volontà di Erode, rimanda non solo al Bambino Gesù, ma rappresenta un ammonimento, un’incitazione a reagire concretamente all’ingiustizia sociale, che condannava tanti innocenti senza colpa a morte, secondo lo spirito dell’umanesimo cristiano e militante caratterizzante la cultura e la società fiorentine nei secoli (nell’affresco di Bernardino Poccetti, nel refettorio delle Bambine, è raffigurata la Strage degli Innocenti e scene di vita nello Spedale).
Il Museo, aperto nel 1890, raccoglie, tra le numerose opere d’arte. Tra queste la raccolta di quanto rimasto dei segni di riconoscimento dei bambini, 140 piccoli oggetti (medagliette spezzate, chicchi di rosari, bottoni, pezzetti di stoffa, vetro colorato, orecchini spaiati). Era uso lasciare tra le fasce del neonato destinato all’abbandono elementi che avrebbero permesso ai genitori di individuare, riconoscere il proprio bambino a distanza di anni dall’abbandono, per poterlo riprendere con sé.
Il fine dello Spedale era la cura e la crescita dei bambini affidati: fino ai 2 anni restavano nelle case delle nutrici in campagna e poi erano tenuti a svezzamento fino ai 5-6 anni. Come dice il sito dello Spedale, «al termine di questo periodo i sopravvissuti all’elevato tasso di mortalità infantile tornavano in Istituto»: i maschi istruiti in modo essenziale e mandati nelle botteghe a imparare un mestiere, le femmine avviate alla tessitura o ai lavori domestici presso famiglie agiate di Firenze (per guadagnarsi la dote, che avrebbe permesso loro di sposarsi) o tenute nello Spedale per curarne il funzionamento o, ancora, spinte a farsi monache.
Questo testo di Dianora Citi è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it