Lo schiavismo oggi è targato “Cina comunista”, ma fa paura dirlo

Pochi giorni fa le autorità federali di New York hanno sequestrato un’importante spedizione di prodotti di bellezza. L’Associated Press ha svelato il contenuto della portata di 13 tonnellate: capelli umani prelevati da internati in uno dei campi di concentramento cinesi. Un carico illegale del valore stimato di 800.000 dollari. Le donne che amano le extension ai capelli dovrebbero iniziare a chiedersi da dove provengono. Oggi, le ciocche più costose, arrivano sicuramente dalla moderna schiavitù che il regime comunista impone alle minoranze religiose nei confini nazionali. Cristiani e musulmani in testa.
Siamo nella regione autonoma che oggi i cinesi chiamano Xinjiang – “nuovo possedimento” – dove giocano esattamente il ruolo della potenza coloniale. Una regione che conta più di venti milioni di abitanti e conquistata, con una guerra che ha provocato un milione di morti, dalla dinastia cinese Qing nel 1757. Là giù non ci sono cinesi, la maggioranza è di turco-mongoli, ma anche tibetani e russi, e non amano parlare di Xinjiang, ma di Turkestan Orientale.
La politica di repressione non contempla solo i campi di concentramento, ma anche il controllo demografico con la sterilizzazione, i lavori forzati per le donne per impedire le gravidanze, farmaci anticoncezionali imposti e aborti coatti fino al nono mese. Benché non manchi tra gli indipendentisti qualche infiltrato nel terrorismo islamico. E benché il Movimento Islamico del Turkestan Orientale sia considerato un gruppo terroristico legato ad al-Qa’ida dagli stessi Stati Uniti, ci si domanda come mai per lo schiavismo e il colonialismo del regime comunista nessuno si metta mai in ginocchio.
Il rispetto dei diritti umani degli uiguri e della loro identità culturale e politica non viene rivendicato da nessuno. Ma soprattutto ci si domanda dove siano i paladini della lotta all’islamofobia e le femministe a tutela delle giovani donne che in Cina vengono rasate a zero – chissà se solo questo per davvero! – per compiacere le velleità dei ricchi occidentali.