L’intermezzo

Quando i sentimenti religiosi sono più commossi e le pie emozioni profondamente eccitate, lì si elevano essi sopra il linguaggio quotidiano e cercano, nelle forme poetiche, un’espressione più alta: poi si sciolgono da sé e si convertono in canto. Certamente il canto è il vestito festivo della poesia, e perciò anche la liturgia possiede un carattere molto poetico. I testi liturgici sono il prodotto dell’arte poetica: talvolta essa narra tranquilla, in forma epica e istruisce didatticamente, poi roteando s’innalza con entusiasmo lirico e vitalità drammatica. La forma musicale, la melodia, si presta in alto grado a innalzare l’espressione e l’impressione di tali creazioni poetiche, e quindi a rafforzare grandemente il loro effetto. Nulla vi è di più adatto dell’arte musicale per influire così direttamente sul temperamento e “metterci in uno stato di serietà, di tristezza, oppure di allegria”.
Come nell’aria il vento tempestoso fischia,
Nessuno sa d’onde venga: esso vien muggendo,
Come la sorgente da cavità celate,
Così dall’intimo del cantante sgorga sonoro l’inno,
E sveglia la potenza di sentimenti oscuri,
Che nel cuore eran meravigliosamente dormienti.
Poiché l’arte musicale commuove tanto misteriosamente il cuore umano, la Chiesa, ha accolto sin dall’inizio il canto nelle sue celebrazioni liturgiche: aveva, ed ha sempre, motivo di lodare e ringraziare Dio per il dono della Salvezza – con Cristo e in Cristo – e di esprimere il proprio amore, la propria ardente devozione, il proprio devoto entusiasmo con il canto. La pienezza della Verità e della Grazia cristiana ha creato un nuovo mondo eccelso di nobili, sacri pensieri e di sentimenti sublimi; ha dischiuso le profondità interiori della vita soprannaturale, per proferire le quali non basta più la semplice parola parlata, ma è richiesta di necessità quella cantata.
L’arte del canto ottenne il suo massimo significato e la sua piena consacrazione proprio e solamente tramite il suo sublime servizio all’azione liturgica più eccelsa: la celebrazione del Sacrificio dell’altare; lì poté rivelarsi nelle più svariate e ricche tonalità. Con il suo inserimento nella celebrazione della Messa, il canto divenne sacrale e allo stesso tempo santificante; più propriamente, esso divenne la lingua celeste del Sacrificio dell’amore e della gioia. “Come Isaia (6,3-4) e San Giovanni (Ap. 4 e 5) presentano la liturgia della Chiesa celeste, così vibra e pulsa il canto della Chiesa militante al trono di Dio” .
L’arte della musica religiosa può debitamente assolvere il compito che le è proprio solamente quando ha le necessarie qualità. Poiché essa non è chiamata a sostituire l’effetto del testo, ma solamente a elevarlo e accrescerlo; le è richiesto soprattutto di adattarsi al testo liturgico, di unirsi strettamente a esso, affinché essa diventi un tutto armonico con lo stesso. Ciò avviene quando la musica respira lo stesso spirito da cui i testi sono animati e sostenuti. I canti della Messa esprimono in maniera insuperabile il timore reverenziale verso la Maestà dell’Altissimo, come anche tutti gli altri sentimenti con cui la Cristianità celebra il “Mistero della Fede”, il sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo, sentimenti di cui essa deve essere ripiena e permeata ogniqualvolta si raduna attorno al “Trono della Grazia” per offrire alla Santissima Trinità lode e ringraziamento, adorazione e amore, preghiere e suppliche di perdono. Ora, affinché le melodie liturgiche stiano in sintonia con i testi liturgici, devono essere caratterizzate dalle medesime qualità, cioè: essere semplici, naturali, serene, serie, nobili, energiche, virili, pie, devote, grandiose, e suscitare un intimo raccoglimento timoroso e una fiduciosa orazione.