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L’eremo di san Romedio

Tesori d'Italia28 Agosto 2021
Testo dell'audio

Appartenente ad una nobile e ricca famiglia dell’Alta Baviera, Romedio, ottenuta la benedizione di Vigilio, allora vescovo di Trento, partì pellegrino per Roma ed ebbe modo di essere persino ricevuto dal Sommo Pontefice. Al ritorno dal viaggio, fatto dono di buona parte delle proprie sostanze alla Diocesi (ed, a quanto pare, il restante alla chiesa di Augusta, in Baviera), forse consigliato dal Vescovo stesso, Romedio si diede alla vita eremitica insieme a due suoi compagni, Abramo e Davide.

Narra la leggenda che, un giorno, volendo tornare a far visita al proprio Vescovo, il santo abbia chiesto di sellare il cavallo a un proprio discepolo. Questi tornò di corsa dall’eremita e, spaventato, gli disse che un orso stava sbranando l’animale. «Allora sellami l’orso», gli rispose placidamente Romedio. Colmo di trepidazione, ma anche di fiducia nei confronti del suo maestro, il proselito si accinse a fare obbedientemente quanto richiesto e, con suo grande stupore, la bestia chinò il capo e, mansueta, si lasciò sellare. Romedio ebbe, dunque, la possibilità di raggiungere il Vescovo in sella a un orso. Questo è, con molta probabilità, l’episodio della vita di questo Santo maggiormente presente nell’iconografia.

Nella chiesa maggiore dell’eremo, a inizio Novecento, in occasione del XV centenario dalla morte del Santo, una pala d’altare con l’immagine della Deposizione lasciò il posto a un’altra pala, opera di Giovanni Battista Chiocchetti, pittore trentino di formazione veneziana. Essa metteva a tema il singolare aneddoto di cui sopra e venne criticata dagli avanguardisti, che la giudicarono «oleografica»: un commento, che, lungi dall’abbattere qualcuno, fu accolto con estremo piacere da questo artista e anche dalla sua committenza, considerata la natura devozionale del lavoro.

Peraltro, l’area faunistica nei dintorni è solita ospitare, ormai da alcuni decenni, un esemplare di orso, in genere liberato da una condizione di cattività. Si tratta di una presenza, che rende ulteriore testimonianza ai racconti di queste terre. Il santuario, attualmente custodito dai frati francescani, continua a essere meta di turisti e pellegrini (oltre 200 mila all’anno).

Questo testo di Rino Zabiaffi è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it

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