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Le Clarisse di San Leonardo

Tesori d'Italia01 Maggio 2021
Testo dell'audio

Nella piccola chiesa dedicata a San Leonardo, con a sinistra le grate del coro delle Clarisse, l’occhio viene catturato dallo sguardo dei Santi in sacra conversazione con la Vergine in trono con Bambino, sopra l’altare centrale. Si tratta di una pala dipinta dal pittore montefalchese Francesco Melanzio, firmata e datata 1515. La bellezza della giovane figlia d’Israele ci ricorda quella dai tratti gentili di Filippo Lippi ospitata agli Uffizi ed il trono, ormai perfettamente rinascimentale nella monumentalità architettonica, non è meno imponente della nicchia alle spalle della Vergine nella Pala Montefeltro di Piero della Francesca. Due santi, in particolare, sembrano intimarci il silenzio e la venerazione: sant’Antonio da Padova e santa Chiara d’Assisi, Madre fondatrice dell’Ordine.

Questo monastero clariano si trova all’interno del borgo di Montefalco, in Umbria, segnandone per un lungo tratto angolare le stesse mura perimetrali. Qui anticamente l’imperatore Federico II amava praticare il suo sport preferito, la caccia al falcone, eredità da cui Montefalco prende il nome. Ma Montefalco è noto anche come Ringhiera dell’Umbria. Il borgo si trova infatti su un’altura di quasi 500 metri, che domina la valle umbra da Perugia fino a Spoleto, passando per Assisi, Spello e Trevi. Le antiche porte della città, ancora intatte nell’arcaica volta ogivale, si aprono come davanzali sopra un paesaggio che l’occhio riesce a sorvolare nella sua interezza fino alle sue compagini più estreme, come in un dipinto del Perugino.

Dal settembre 1918 al novembre 1919 fu badessa del monastero di San Leonardo madre Maria Teresa di Gesù. Morta in odore di santità, si distinse, fin da bambina, per le sue eccezionali doti di mitezza ed umiltà. Nata nel piccolo paese di Fabbri, frazione di Montefalco nel 1878, si trovò ad abbracciare la vita religiosa già all’età di 16 anni, entrando in monastero con i più sinceri propositi di rispetto e amore per il suo Sposo. La vita di questa venerabile monaca fu segnata da una vicenda, che potremmo definire soprannaturale proprio grazie alle sue specifiche qualità umane e di fede, avendo tra i suoi scritti più volte sottolineato la ferma volontà di vivere le virtù ricevute in modo eroico.

La cronaca dell’intera vicenda ci arriva da suor Maria Chiara Giuseppa del Sacro Cuore la quale, avendo intuito la portata dell’evento, cominciò a registrare tutto in un diario giornaliero volontariamente evitato dalla badessa per umiltà. Tutto ebbe inizio il 2 settembre 1918 quando la Madre, sentendo suonare il campanello della sacrestia, andò alla grata, facendosi precedere dal rituale saluto di lode a Gesù e Maria. Una voce triste e velata rispose solamente che doveva lasciare un’elemosina per il monastero e girò la ruota mettendovi una banconota da 10 lire, una somma enorme per l’epoca. Alla domanda della Madre sul nome del benefattore, la voce frettolosa ma gentile rispose: «Non occorre saperlo».

La prima visita si concluse in questo modo, senza il benché minimo sospetto da parte della badessa. Il 5, il 31 ottobre, il 29 novembre e il 9 dicembre dello stesso anno si ripeté il suono del campanello, si svolse lo stesso dialogo e fu data la stessa elemosina. Cominciò però a diffondersi un certo turbamento da parte della comunità religiosa, quando, il 14 marzo del 1919, le monache sentirono ripetersi per due volte il suono del campanello verso le otto di sera, assolutamente certe di aver chiuso ermeticamente la porta della chiesa a chiave. Madre Maria Teresa andò da sola, rifiutando il sostegno di una compagnia e riportando in mano la consueta questua. Anche l’11 aprile dello stesso anno si svolse lo stesso accadimento. Questa volta però il benefattore chiese esplicitamente preghiere per un defunto. La sua voce, sempre mesta ma dolce, veniva udita solo dalle Madre badessa, nonostante le sue consorelle l’accompagnassero spesso alla grata per origliare, spinte dalla curiosità.

Si cominciò dunque a pensare ad un evento soprannaturale, che riguardasse non un vivente, ma l’anima di un defunto. Le clarisse di San Leonardo, durante gli esercizi spirituali dell’anno che sancì l’inizio degli eventi narrati, pronunciarono unanimi l’atto eroico, una più che generosa opera di misericordia volta a suffragare le anime del Purgatorio attraverso tutti i meriti personali acquistati in vita con preghiere e atti di fede.

Il suono del campanello era diventato ormai caro e familiare all’intera comunità religiosa, la quale, sentendosi completamente coinvolta nella vicenda, cominciò ad offrire preghiere, suffragi e Sante Messe a quella che ormai tutte cominciarono a chiamare affettuosamente «l’animuccia». Si trattava, come successivamente raccontò madre Maria Teresa alle consorelle, dell’anima di un sacerdote, che si trovava già da quarant’anni in Purgatorio per aver sperperato dei beni ecclesiastici. Le altre curiosità della Madre, però, non vennero mai soddisfatte dall’«animuccia», che rispondeva a tutto con un generico: «Il giudizio di Dio è giusto».

 

Questo testo di Antonella Primiera è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it

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