Le chiese stazionali

Statio è un sostantivo che deriva dal verbo sto e indica propriamente l’atto di fermarsi o di soggiornare; quindi, per estensione, assume il significato anche del luogo secondo i fini per cui si compie la sosta o il soggiorno. Così, per esempio, nel foro romano, nei pressi del tempio di Giuturna,, si trovano ancora le vestigia costantiniane della statio aquarum, la sede amministrativa degli acquedotti, che regolava la distribuzione dell’acqua; dove oggi sorge la basilica di S. Maria in Cosmedin a Roma vi era la statio annonae, il servizio pubblico preposto alla distribuzione di vivande al popolo romano; nel gergo militare, abbiamo le stationes, luoghi fortificati posti spesso presso confini, con valore di avvistamento e di difesa. Una parola dunque tipicamente romana che il cristianesimo antico assumerà per esprimere, insieme, l’atto penitenziale con cui purificare l’anima dal peccato, la celebrazione del suddetto atto e il luogo in cui tutto ciò avviene.
Va detto che a partire dal IV secolo, statio comincia a indicare soprattutto il luogo in cui si compiono queste celebrazioni penitenziali, nonché i riti stessi. Nella Chiesa primitiva e quindi ancora in età patristica, vi era l’usanza di digiunare due giorni per settimana, il mercoledì per riparare al tradimento di Giuda, e il venerdì per unirsi spiritualmente alla morte del Signore. Se nell’Africa dei tempi di Tertulliano la statio non si concludeva con la Messa, dal IV secolo la pellegrina Egeria ci attesta che a Gerusalemme la statio culminava con la Messa celebrata dal vescovo. Roma conoscerà molto presto la pratica delle celebrazioni stazionali, già nel III secolo.
Ma è dal IV secolo con certezza, oltre un ventennio dopo l’editto costantiniano, che le stationes si tengono nei cosiddetti tituli, le chiese ove sono custodite le reliquie dei martiri della Fede. L’importanza della statio si segnala soprattutto nel tempo di Quaresima, quando il cristiano è chiamato a præsidia militiæ christianæ sanctis inchoare ieiuniis (iniziare con santi digiuni le difese della milizia cristiana). La chiesa dove si celebrava la statio accoglieva i fedeli che, tra preghiere e canti, concludevano il rito assistendo alla Messa officiata dal Papa. Il lunedì, il mercoledì e il venerdì, a partire dal V secolo, diventeranno giorni di statio solenne: il popolo si riuniva in un’ecclesia ad collectam, partendo dalla quale in processione al canto di litanie e salmi (letania), si recava nella chiesa stazionale dove si celebrava l’Eucarestia.
Se non consta con certezza quando questa pratica quaresimale abbia assunto forma regolare – una prima notizia desunta dal Liber Pontificalis assegna a papa Ilaro l’arricchimento del servizio liturgico delle chiese stazionali romane –, va comunque ascritta all’opera di Gregorio Magno (VI sec.) il riordino delle chiese stazionali e l’incentivo a praticare con fervore questo pio esercizio penitenziale. Il sistema stazionale stabilito da Gregorio Magno trova completamento nell’VIII sec. per mano di Gregorio II, che doterà di chiese e celebrazioni anche i giovedì di Quaresima, rimasti esclusi dal primo catalogo gregoriano, in quanto giorno commemorativo dell’istituzione del sacerdozio e dell’Eucarestia, e dunque non penitenziale (così come il sabato e la domenica, almeno fino al IX secolo).
A partire dall’VIII secolo in poi cominciano a essere assegnate chiese stazionali per ogni principale celebrazione dell’anno liturgico, pertanto emancipandole dal solo periodo quaresimale. Se col periodo avignonese la prassi della statio di fatto si perde e successivamente riemerge solo in maniera sporadica nel corso dei secoli, dopo la caduta dello Stato pontificio e la perdita del potere temporale dei Papi (1870) ogni manifestazione religiosa pubblica non può essere celebrata lungo le vie della Città Eterna, costringendo alla temporanea scomparsa di questa significativa liturgia.
Questo testo di Don Marino Neri è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it