L’arte delle catacombe

Tutto sembra iniziare a Roma, nell’area prima callistiana, il piccolo nucleo cimiteriale voluto da papa Zefirino (199-217) al III miglio della via Appia, assegnato alla soprintendenza dello stesso Callisto, allora diacono, ma in seguito moderato e illuminato pontefice (217-222). Ebbene, al centro di quest’area spuntano i primi cubicoli decorati ad affresco, percorsi da linearità rosso-verde, che crea campi geometrici, ora interessati da immagini tratte dal più corrente repertorio della tradizione classica, ora dalle prime immagini propriamente cristiane.
L’area prima comprende anche una serie di cubicoli dipinti, che si riferiscono al lasso cronologico, che dagli anni ’30 giunge alla fine del secolo III. Qui si incontrano diverse immagini, che fanno capo alle storie del Vecchio e del Nuovo Testamento: da Mosè che percuote la rupe alla resurrezione di Lazzaro. Ma la scena più fortunata ed articolata immortala l’epopea di Giona, il profeta negligente che viene gettato in mare, che è ingoiato e rigettato dal pistrice, che riposa sotto la pergola. La storia ebbe grande fortuna in età paleocristiana, in quanto Giona risulta essere l’unico profeta a cui Cristo paragona sé stesso, con chiaro riferimento al mistero della resurrezione.
Tali scene appaiono anche nelle catacombe siracusane di Vigna Cassia e nel vestibolo superiore del complesso napoletano di S. Gennaro. Qui, in un contesto cosmico/dionisiaco, sono incastonate tre scene cristiane e, segnatamente, quella relativa alla costruzione della torre/chiesa da parte di tre donne, ispirata agli scritti del Pastore di Erma; quella che raffigura lo scontro violento tra Davide e Golia; quella che traduce in figura i protoparenti nudi, dopo il peccato, ai lati dell’albero del bene e del male.
Tornando a Roma, altri affreschi catacombali possono essere calati ancora nell’ambito del III secolo, a cominciare dal celebre nicchione dell’arenario centrale, nelle catacombe di Priscilla sulla via Salaria. Un altro esempio emblematico, per quanto attiene il periodo delle origini e, segnatamente, la prima metà del III secolo, può essere considerato il cosiddetto cubicolo della Passione nel complesso di Pretestato sulla via Appia Pignatelli. Ebbene, l’apparato pittorico di questo ambiente, caratterizzato da linee rosso-verdi ed elementi cosmici, che, nella volta, ruotano attorno all’immagine del pastore, propone la rappresentazione di alcune scene neotestamentarie ossia la guarigione dell’emorroissa, la resurrezione di Lazzaro e la samaritana al pozzo.
A fianco delle scene bibliche, spuntano, a cominciare dal IV secolo, le immagini ispirate alla vita quotidiana dei defunti, come nel celebre cubicolo dei fornai a Domitilla, dove, accanto alle storie di Giona, sfila il ciclo dello stoccaggio del grano e della panificazione, seguito dalla famiglia committente, che ruota attorno alla sfera dell’Annona, mentre nelle calotte absidali dell’ambiente sono già contemplate le scene del collegio apostolico e del pastore tra le stagioni.
Il paradiso, nelle catacombe, è rappresentato da allegre scene bucoliche e da scenari ispirati al luogo ameno e fiorito dell’aldilà felice, quieto e tranquillo, rappresentato da prati verdi o da cieli stellati, ma è il mondo pastorale, che meglio interpreta questo beato eden all’aperto. Un’altra condizione paradisiaca è rappresentata dalle scene di banchetto, diffuse specialmente nelle catacombe dei Ss. Pietro e Marcellino sulla via Labicana. Tali scene raffigurano i commensali, seduti attorno alla tavola, assistiti da inservienti, mentre consumano un pasto frugale. Queste scene, oltre a riferirsi ad una condizione allegra e beata, vogliono alludere al refrigerium, al pasto funebre organizzato dai cristiani nel giorno anniversario della scomparsa dei defunti, definito emblematicamente dies natalis.
Questo testo di Fabrizio Bisconti è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it