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L’Arcangelo e il Santo guerriero

Storia11 Luglio 2018
Testo dell'audio

Stupore e sincera venerazione colpiscono immediatamente ancora oggi quei pellegrini, che visitano il Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. Siamo come avvisati della straordinarietà del luogo da una frase esposta ed incisa all’ingresso della chiesa superiore: «Terribile, impressionante è questo luogo, questa è la casa di Dio e la porta del cielo». Furono infatti davvero impressionanti i segni e gli eventi con i quali l’Arcangelo Michele prese possesso sacro di questa grotta, decretando così la definitiva scomparsa degli antichi culti pagani.

 

Le tre apparizioni

Leggendo la storia delle famose prime tre apparizioni dell’Arcangelo Michele, dal 490 al 493, nel cosiddetto episodio del toro, della vittoria e della dedicazione, si rimane colpiti non soltanto da come i miracoli che Egli compie siano legati a successi contro simboli (come quello del toro) o eserciti (quelli del barbaro Odoacre) non cristiani, ma soprattutto di come lo stesso Principe delle Milizie Celesti abbia voluto personalmente consacrare la grotta, rendendola così l’unica basilica sulla terra, la cui dedicazione non sia stata effettuata dall’uomo.

Apparendo in sogno al santo vescovo Lorenzo Maiorano, l’Arcangelo rivelò: «Io sono l’Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta, io stesso ne sono vigile custode. Là dove si spalanca la roccia, possono essere perdonati i peccati degli uomini. Quel che sarà chiesto nella preghiera, verrà esaudito».

 

L’Imperatore pellegrino

Tra i tanti personaggi illustri che visitarono da pellegrini questo luogo sacro, si ricorda il santo imperatore Enrico II, ultimo erede della Casa di Sassonia. Enrico giunse nel Gargano nel 1022, spinto dalla necessità di ottenere il controllo su alcuni territori del Sud usurpati dai bizantini.

Il desiderio di far visita alla “grotta angelica” era comunque molto probabilmente legato anche alla volontà di ringraziare l’Arcangelo Michele. Narra la tradizione che l’imperatore fosse stato aiutato proprio da san Michele nella battaglia decisiva contro l’esercito dello slavo Boleslao I il Grande, che minacciava di costruire un grande regno polacco, mettendo così in pericolo non solo il suo Impero, ma anche la stessa Cristianità.

Un santo guerriero, dunque, ma un santo anche profondamente dedito alla cura dei suoi sudditi e soprattutto al bene – in quanto figlio – della stessa Chiesa. Educato fin da piccolo al Cristianesimo, fu lui ad attuare in un secolo di ferro un rinnovamento profondo dei costumi morali cristiani.

Promosse così opere di carità e leggi che limitarono la violenza delle guerre. Si dedicò alla diffusione della fede con le diocesi e convocando Concili (quello di Pavia, ad esempio), allo scopo di contrastare la dilagante violazione del celibato ecclesiastico. Un cristiano fervente, ma anche penitente: per questo si incamminò lungo il Monte San Michele, per rendere grazie e lode a Dio per tramite di un Suo Arcangelo.

 

Il racconto della beata Emmerich

Ciò che avviene lì in quella notte, l’Imperatore volle che fosse in seguito ricordato ed affisso sulla lapide della sua tomba, oggi nel duomo di Bamberga. Addormentatosi nella grotta, sant’Enrico al risveglio assistette incredulo ad una Messa officiata dagli Angeli, di cui Gesù era il celebrante, assistito dai santi Giovanni Battista ed Evangelista e con la Madonna alla guida di una schiera di Vergini e Santi.

La beata Caterina Emmerich molti secoli dopo ebbe la visione proprio di questo evento, che raccontò con queste parole: «Lo vidi [Enrico] di notte, in ginocchio ai piedi del altare principale in una enorme bella chiesa e vidi la Vergine Santissima, che veniva sola. Lasciò sull’altare una veste di colore rosso, collocò un libro intarsiato con pietre preziose e accese le candele e la lampada perpetua. Quindi arrivò il Salvatore, vestito con i paramenti del sacerdote. Portava il calice coperto. Due Angeli lo servivano e altri due lo seguivano.

Quando la Messa ebbe finito, la Madonna si avvicinò a Enrico, distese la mano destra verso di lui, come segno di riconoscimento della sua purezza. Poi lo esortò a non vacillare. Quindi vidi un angelo, che lo toccò nel tendine del femore, come a Giacobbe. Enrico era afflittissimo; e da quel giorno camminò zoppicando».

Morì due anni dopo questo miracoloso evento.

 

Questo testo di Micaele Corona è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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