L’Alleluia e il Tractus e le Sequenza di Notker

„Il solista si porta sull’ambone col libro dei canti liturgici e canta il responsorio del Graduale, poi – quando l’anno liturgico lo prevede – l’Alleluja ovvero il Tractus”, come prescrive il primo ordinario romano della Messa dell’VIII secolo. In seguito, l’Alleluia e il Tractus si escludono a vicenda: solamente nella particolare liturgia della vigilia di Pasqua e di Pentecoste sono cantati ambedue. Il Tractus si distingue dal canto responsoriale e antifonale perché si canta senza interruzione (tractim) dal principio alla fine.
Se il Graduale aveva più versi, allora esso era ripetuto dopo ogni verso. Tali responsorii del Graduale erano per es. i canti: Domine exaudi orationem meam (“Signore, ascolta la mia preghiera”) il mercoledì della Settimana Santa, e Domine audivi auditum tuum (“Signore, ho udito la tua voce”) il Venerdì Santo, che già nel passato furono chiamati Tractus come oggi. Perciò i Tractus – che in gran parte appartengono ai più estesi canti della Messa – appaiono essere i resti delle originali salmodie dei Graduali non ancora accorciate. Ciò è dimostrato dal fatto che, fino al Medioevo, i testi del Tractus erano desunti, senza eccezione, dal salterio o dai Cantica biblici.
Solamente più avanti furono usate anche altre parti bibliche, disponendole per ordine, cioè senza trasposizioni come invece spesso avviene con altri canti. Dopo che il salmo graduale fu accorciato diventando più melismatico, la sua melodia originale si mantenne comunque durante il tempo quaresimale, in cui sono ancora presenti in abbondanza le sue antiche tradizioni. Il nostro Messale contiene circa 80 canti di Tractus.
Dalla fine del IX secolo in poi incontriamo, dopo l’Epistola, un altro canto: la Sequenza. Delle 5000 Sequenze che la ricchezza canora del Medioevo aveva composto solamente cinque sono rimaste nel Messale Romano dal XVI secolo in poi. La parola Sequentia (dal greco akolouthia = seguito, serie, fila) è un’espressione che, in origine, designa l’arte musicale come un susseguirsi di toni o note sull’ultima lettera “a” dell’Alleluja. Questa sequenza di toni, queste melodie senza parole di testo, erano già in tempi remoti un ricco melisma che fu chiamato anche “Iubilus” e “Reuma”. In epoca carolingia si abbinavano al giubilo dell’Alleluja testi di canti a cui poi si applicò il nome di Sequenza e, allo stesso tempo, ancora il nome abituale di “Prosa”.
In questi canti dei primi tempi, infatti, non si osservava strettamente le leggi metriche, né la severa costruzione della frase. In questa loro forma originale le Sequenze sono considerate un’imitazione dell’inno poetico bizantino. In base alla sua struttura, forma e complessità, si distingue l’era in cui una Sequenza è stata composta; le due fasi riconoscibili – l’antica e la recente – sono unite da uno stile transitorio. Le Sequenze più antiche, del X e XI secolo, erano piuttosto aritmiche e perciò quasi senza rime; le più recenti invece, dal XII secolo, sono composte da strofe, governate secondo gli schemi del ritmo e delle rime, cosicché formalmente non si distinguono più, o quasi, dagli inni: per questi si usò soprattutto il verso giambico, mentre per le Sequenze il ritmo trocaico.
Il principale rappresentante della prima epoca è Notker Balbulus († 912) e della seconda Adam von St. Viktor († 1192). Notker, detto il “balbuziente” a causa del suo difetto di pronuncia, fu attivo nell’Abbazia di St. Gallen; era un uomo di alta cultura, un poeta e un compositore, di acuta e attiva sensibilità artistica. Egli aggiunse parole adatte a tutte le melodie dell’Alleluia, in modo che ogni nota avesse una sillaba del testo; e ogni frase melodica corrispondeva a due testi che erano cantati alternativamente dal coro degli uomini e dalle voci bianche, mentre la prima strofa e quella conclusiva, costruite diversamente, venivano cantate insieme dai due cori.
Notker ha composto una collezione di Sequenze per quasi tutte le feste dell’anno liturgico, opera che fu tanto apprezzata da mantenersi fino al Concilio di Trento. “Se sia stato il Koster – come finora ritenuto – il primo a comporre tali Sequenze, e non che le stesse fossero già diffuse in Francia, lo possono stabilire ulteriori ricerche. In base a nuovi elementi venuti alla luce e ad altri motivi, bisognerà probabilmente lasciar cadere il Koster come l’ideatore delle Sequenze” (Cl. Bume S.J.). Comunque verso la fine del X secolo, o forse un po’ più tardi, esse erano in uso oltre che in Germania in tutto l’Occidente (in Italia, Francia, Inghilterra, Spagna): in certi luoghi sorgevano vere e proprie scuole di Sequenze. Nel secondo periodo, splende come stella di prima grandezza il canonista parigino Adam von St. Viktor. “Con lui ci troviamo al culmine di tutta la poesia liturgica del Medioevo.
Ciò che Prudenzio era per l’antico cristianesimo, fu Adam per il suo tempo: sì, non c’è dubbio, dobbiamo ritenerlo come uno dei più grandi che abbiano mai saputo possedere in così alto grado la lingua latina. Il poeta ci appare subito nella sua grandezza quando osserviamo attentamente il contenuto: la sua Sequenza della Santissima Trinità Profitemur unitatem supera – per quanto riguarda la conoscenza teologica – il Lauda Sion di S. Tomaso d’Aquino; sostiamo dunque in ascolto del tono di gradevole musicalità della sua lingua; possa rallegrarci l’incommensurabile bellezza con la quale egli maneggia magistralmente tutte le costrizioni del ritmo e delle rime che gli sono imposte dalla sua musa” (G. Dreves).
“Secondo il giudizio univoco degli esperti, Adam è uno dei più grandi poeti del Medioevo. Le sue Sequenze sono, infatti, ammirevoli per l’agevole leggerezza con cui egli compone i versi, per la chiarezza e la profondità dei concetti e la ricchezza simbolica delle figure; le Sequenze di Notker rivelano invece il carattere faticoso e legato della loro origine, in frasi oscure e ampollose” (P. Wagner).
“Adam von St. Viktor è il rappresentante poetico della tanto meritevole scuola dei Victorini – accanto a Hildebert von Tous – e nella teologia, specialmente mistica, fu il più agile compositore di inni medioevali, con una rara, vera indole di cantore, per cui ogni parola diveniva rima e melodia. Forse sarebbe caduto in semplici giochi di parole, ma il suo profondo sapere teologico e l’intimo amor di Dio erano l’anima dei suoi canti e gli conferirono un vibrante movimento verso il Cielo” (A. Baumgartner S.J.). Molte delle sue Sequenze furono riprese nei messali di quasi tutti i paesi; solamente la Germania rimase tenacemente attaccata ai vecchi canti del Notker, pur non così raffinati.
Queste produzioni religiose della poesia spirituale erano particolarmente popolari e apprezzate, poiché erano congeniali al sentimento e allo spirito dei fedeli; attraenti e adatte al loro temperamento. Questo tipo di melodia, consona al modo di cantare del popolo, attirò i cuori di tutti: le Sequenze divennero così la parte più popolare del canto della Messa. Molte di queste furono tradotte nella lingua volgare moltiplicando così la poesia dei canti spirituali che, nel medioevo, generò tante belle e ricche fioriture.
„L’esuberante devozione che, in un certo senso, le forme ufficiali del canto liturgico non riuscivano a soddisfare, ha suscitato la melodia tropo” (P. Wagner). La parola greca “tropos” (τρόπος) era in origine il termine musicale per indicare una melodia, una sequenza di toni più lunga, per es. la “e” del Kyrie, che poi (come Sequenza) veniva inserita nel testo. Il termine tropo viene inteso qui secondo un significato diversificato: in parte poetico, in parte prosaico, come estensione e chiarimento di un determinato testo liturgico tramite aggiunte che lo precedono, che lo seguono oppure sono già innestate in esso. Tali tropi erano inseriti in quasi tutte le parti della Messa: nell’Introito, Kyrie, Gloria, Epistola, Graduale, Alleluja; mai al Vangelo, raramente al Credo, poi di nuovo all’Offertorio, al Sanctus, all’Agnus Dei e alla Comunione.