La vittoria di uno sconfitto

Nei primi secoli della storia della Chiesa, la Cristianità si era formata anche grazie alla stretta ed armonica collaborazione tra autorità spirituale e potere temporale, e particolarmente tra Papato e Impero. All’inizio fu la Chiesa a salvare e a restaurare l’Impero, ma poi accadde talvolta che fu l’Impero a favorire non solo l’espansione della fede all’esterno, ma anche il suo rafforzamento all’interno, ricomponendo le discordie ecclesiastiche, sostenendo gli ordini monastici, favorendo le riforme moralizzatrici, spingendo sul trono di Pietro candidati capaci di riformare la Chiesa. Questa collaborazione era cominciata con Teodosio il Grande, era continuata con Carlo Magno ed era arrivata fino agli Imperatori Ottone III e a sant’Enrico II. Eppure, all’inizio dell’XI secolo, la situazione era ormai diventata ben diversa. Cosa era successo?
Il tempo della sudditanza della Chiesa
Il sistema politico feudale, che all’inizio aveva tanto favorito la sicurezza e l’espansione della Chiesa, era diventato un impaccio per libertà ecclesiastica e un fattore di corruzione del clero, soprattutto dell’episcopato, legato all’Impero da vincoli di vassallaggio. E così, invece di spiritualizzare il temporale, quel sistema finiva col temporalizzare lo spirituale, con l’imprigionare la Chiesa nell’Impero, rischiando di asservire la struttura ecclesiastica a quella politica. L’alto clero, compresi i vescovi, spesso facevano tutti i mestieri – consigliere, giudice, amministratore, diplomatico, perfino condottiero – tranne che quello del sacerdote o del pastore d’anime.
Ricerca degli incarichi secolari a scapito di quelli religiosi, simonia delle cariche ecclesiastiche, concubinato del clero, dissipazione dei beni della Chiesa a vantaggio di clienti, parenti, amanti e figli… Tutti questi abusi erano un tipico esempio di come il clero finisce col corrompersi, quando pretende non solo di “essere nel mondo” ma anche di “essere del mondo”, magari con la scusa di “adattarsi ai tempi”. La situazione era diventata insostenibile. Bisognava colpire il male alla radice, ossia rompere i legami che vincolavano l’alto clero al potere politico, affrontando il famoso problema della investitura laica degli ecclesiastici. Bisognava liberare la Chiesa dalla prigionia del sistema feudale e costringere l’Impero a tornare ad essere il sostegno e la difesa politica della evangelizzazione.
Ildebrando attua la grande svolta
Solo un grande movimento di riforma religiosa poteva compiere questo miracolo. Questo movimento ebbe molti validi precursori e promotori, ma alla fine del XI secolo trovò il suo campione: Ildebrando di Soana, il monaco benedettino-cluniacense che, una volta divenuto Papa col nome di Gregorio VII, diede avvio a quella che, dal suo nome, venne chiamata “età gregoriana”.
Per un apparente paradosso tipico della storia della Chiesa, l’uomo più spirituale del suo tempo doveva rivelarsi il condottiero più energico del secolo e realizzare la riforma giuridico-politica più ardua del Medioevo. Gregorio avrebbe voluto guidare di persona la Crociata per liberare la Terra Santa dagli infedeli, ma fu costretto ad impegnarsi nell’opera di risanamento interno della gerarchia ecclesiastica. Egli cominciò a far pulizia all’interno del Tempio: sospese “a divinis” i pastori indegni, dichiarò invalide le loro ordinazioni, minacciò i recidivi di deposizione e di scomunica. Inoltre ammonì le autorità politiche a non investire vescovi né concedere episcopati o prelature senza il suo permesso.
Il Dictatus Papæ
Nel suo Dictatus Papæ del 1075, Gregorio non si limitò a distinguere nettamente i ruoli e le competenze dei laici da quelli degli ecclesiastici, ma proclamò che il Vicario di Cristo, che «non può essere giudicato da nessuno», ha il diritto non solo di agire in piena indipendenza dai poteri civili, ma anche di esercitare piena e suprema autorità nel campo religioso e di governare spiritualmente l’intera Cristianità. In qualità di successore di Pietro, che ha ricevuto dal redentore “il potere di legare e di sciogliere”, egli può deporre sia quei prelati che quei sovrani che attentano alla unità, libertà e santità della Chiesa.
La scomunica a Enrico IV
Questo slancio riformatore sollevò la rivolta non solo dell’Imperatore ma anche dei vescovi e abati feudatari. Essi si trovarono di fronte all’alternativa tra restituire la piena indipendenza alla Chiesa, ma perdendo la base temporale del loro potere, oppure mantenere questa base, ma perdendo la comunione con la Chiesa. L’Imperatore Enrico IV scelse la seconda strada e proclamò Gregorio deposto.
La risposta del Papa fu la scomunica: «Ad Enrico, che è insorto con inaudita superbia contro la Chiesa, proibisco di esercitare il governo dell’intero regno di Germania e dell’Italia, e sciolgo tutti i cristiani dal vincolo del giuramento di sudditanza che gli hanno prestato o gli presteranno, e ordino che nessuno gli obbedisca come a Re. È infatti giusto che colui che cerca di sminuire l’onore della Chiesa perda egli stesso quel potere che proprio dalla Chiesa gli è venuto. E poiché egli si è rifiutato di obbedire come cristiano e non è ritornato a quel Dio dal quale si era allontanato (…) in nome Suo io lo costringo col vincolo della maledizione».
In un primo momento, l’atto di forza del Papa non produsse la sperata chiarificazione definitiva, ma alla fine il precipitare della situazione costrinse le fazioni a schierarsi l’una contro l’altra: da una parte i fedeli, dall’altra gli infedeli a Roma. A questo punto, nonostante tutte le apparenze contrarie, la vittoria del Papato non poteva tardare troppo. Per riprendere la celebre parabola evangelica, è il mescolamento della zizzania col grano ad impedire il buon raccolto; ma una volta che la zizzania viene separata dal grano, questo può svilupparsi e il raccolto può prosperare. Gregorio separò, i suoi successori raccolsero vaste messi.
Uno sconfitto vincitore
Quella di san Gregorio VII sembrava una impresa imprudente e destinata alla sconfitta; difatti egli morì esule a Salerno, il cui duomo tuttora ospita le sue reliquie. Ma, nella storia della Chiesa, spesso accade che le apparenti e momentanee sconfitte si trasformino misteriosamente in reali e durature vittorie. Gregorio ben sapeva che, come diceva san Paolo, «quando sembro sconfitto, è proprio allora che vinco», o che, come diceva sant’Ireneo di Lione, «è tipico della Chiesa vincere quando sembra che sia stata vinta». L’apparente sconfitta della riforma gregoriana inaugurò un’epoca di grande libertà, influenza e prestigio della Chiesa, avviando quel “rinascimento medioevale” che animò il XII e il XIII secolo e che rinnovò l’Europa cristiana. Ancora oggi la nostra civiltà sopravvive grazie ai residui benefici ereditati da quella luminosa epoca.
Questo testo di Guido Vignelli è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it