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La tomba di Dante

Arte e Cultura28 Gennaio 2019
Testo dell'audio

L’esilio di Dante non finì con la sua morte: nemmeno da morto, infatti, il poeta poté godere di quella stabilità che aveva tanto vagheggiato negli ultimi, tormentatissimi anni di esilio.

Il giorno dopo essere passato a miglior vita, il corpo del poeta fu sepolto nello stesso sarcofago in cui si trova tuttora, ma che era allora posto lungo la strada, all’esterno del Chiostro di Braccioforte. Poi, alla fine del XV secolo, il podestà veneto di Ravenna Bernardo Bembo spostò il sepolcro sul lato ovest del chiostro stesso.

I vani tentativi fiorentini

I fiorentini dopo pochi anni cominciarono a reclamare a Ravenna le reliquie del loro cittadino più illustre. Un “rischio” che parve diventare certezza quando sul soglio pontificio ascesero i due papi della famiglia Medici ed entrambi fiorentini, Leone X (1513-21) e Clemente VII (1523-34).

Il primo, infatti, a seguito di una supplica caldeggiata anche da Michelangelo, concesse nel 1519 ai suoi concittadini il permesso di prelevare i resti del poeta per portarle a Firenze: ma quando la delegazione toscana aprì il sarcofago, le ossa erano sparite. I frati francescani infatti, poco tempo prima, avevano praticato, dal retrostante chiostro, un buco nel muro e nel sarcofago per “mettere in salvo” i resti del poeta, che consideravano come uno di essi.

A nulla varranno le suppliche di restituzione. Lo stesso sarcofago fu poi spostato nello stesso chiostro e gelosamente sorvegliato: basti pensare che, quando nel 1692 fu fatta la manutenzione della tomba e la ricognizione dei resti, gli operai dovettero lavorare sorvegliati dalle guardie.

Le ossa erano state racchiuse nel 1677 in una cassetta dal priore del convento Antonio Sarti, e furono rimesse nell’urna originaria solo nel 1780, quando cioè l’architetto Camillo Morigia costruì l’attuale mausoleo che era parte integrante dell’annesso convento.

Senza pace

Quando nel 1810 questo fu soppresso per ordine di Napoleone Bonaparte, i frati nascosero nuovamente la cassetta con le ossa, stavolta in una porta murata nell’attiguo oratorio del chiostro di Braccioforte, dove saranno scoperte casualmente nel 1865 durante i lavori di restauro per il V centenario della nascita di Dante.

Dopo un’esposizione pubblica, le ossa furono rimesse, dentro due cassette separate, nel sarcofago originario dentro il tempietto, dal quale furono tolte solo tra il 23 marzo 1944 e il 19 dicembre 1945, per evitare che i bombardamenti le distruggessero; in quel periodo, vennero sepolte poco distante dal mausoleo sotto un tumulo coperto da vegetazione, e oggi contrassegnato da una lapide.

A Firenze, nella (finora vana) speranza che le reliquie fossero restituite, fu eretto nel 1829, in stile anch’esso neoclassico, un grande cenotafio in Santa Croce, raffigurante il poeta seduto e pensoso, innalzato in gloria dall’Italia, mentre la Poesia piange, china sul sarcofago.

Monumento nazionale

Attualmente, la tomba è Monumento Nazionale, e attorno ad essa è stata istituita una zona di rispetto e di silenzio chiamata Zona dantesca. Nei pressi, all’interno del Centro Dantesco dei Frati Minori, c’è il Museo Dantesco, strutturato in sezioni che raccolgono rappresentazioni ispirate all’opera del Poeta: illustrazioni, quadri, medaglie e monete, piccole sculture in bronzo e filatelia.

Tra il 2006 e il 2007 la tomba è stata sottoposta ad accurato restauro, e la facciata è stata completamente ridipinta. Essa consiste in una piccola costruzione, in stile neoclassico, fu eretta tra il 1780 ed il ??????????? da Camillo Morigia per volere del cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga, il cui stemma sormonta la porta d’ingresso, che reca anche la dicitura “DANTIS POETAE SEPULCRUM”.

All’interno, sulla parete di fondo, la tomba vera e propria, tutta rivestita di marmi e stucchi. Si tratta di un sarcofago di età romana con l’epigrafe commemorativa in versi dettata in origine da Bernardo Scannabecchi da Canacci, amico in gioventù di Dante e ritiratosi a Ravenna dopo il matrimonio con una nobile locale: «Iura Monarchie superos Phlaegetonta lacusque / lustrando cecini fata volverunt quousque sed quia pars cessit melioribus hospita castris / actoremque suum petiit felicior astris hic claudor Dantes patris extorris aboris / quia genuit parvi florentia matris amoris» (“I diritti della monarchia, i cieli e le acque di Flegetonte visitando cantai finché volsero i miei destini mortali. Poiché però la mia anima andò ospite in luoghi migliori, ed ancor più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto racchiuso io, Dante, esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore).

Al di sopra dell’urna spicca un bassorilievo scolpito nel 1483 da Pietro Lombardi, raffigurante Dante in pensoso raccoglimento presso un leggio. Ai piedi dell’arca fu deposta nel 1921 una ghirlanda in bronzo e in argento, donata dall’esercito reduce dalla guerra 1915-18. Sui pennacchi delle volte sono raffigurati Virgilio, Brunetto Latini, Cangrande della Scala e Guido Novello da Polenta.

Infine, dal centro della volta del tempietto pende una lampada votiva, che è alimentata dall’olio dei colli toscani, offerto ogni anno, in occasione dell’anniversario della morte del Poeta, dal Comune di Firenze. Ma questo è l’unico elemento di raccordo tra la città natale del massimo poeta italiano e il suo più illustre figlio.

 

Questo testo di Luigi Vinciguerra è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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