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La Sequenza

Liturgia04 Giugno 2020
Testo dell'audio

Ad eccezione dei giorni di digiuno e di penitenza, il canto dell’Alleluia è presente in tutte le Messe. Incessantemente e senza interruzione risuona in Cielo “l’eterno Alleluia”; agli angeli e ai beati si uniscono anche i pellegrini sulla Terra che col cuore e con la bocca manifestano il proprio giubilo e gioiosa riconoscenza per la meravigliosa potenza e la grazia benevola con cui il Salvatore li ha beneficati e santificati nel Suo Regno, ora e per l’eternità.

Il mondo interiore dei sentimenti religiosi e delle emozioni espira veramente vita e calore attraverso il testo del canto e nello stesso cantare. I pii sentimenti crescono e si espandono con una tale esuberanza e altezza da non potersi chiudere nell’intimo, né esternarsi in parole, tanto da far straripare il cuore in un beato giubilare, esultare e gioire.

La gioia straripante, la felicità tracimante dell’anima immersa in Dio e in Lui pacificata era solo accennata, piuttosto che espressa nelle melodie dell’Alleluia, nella musica senza testo, nei melismi ricamati sull’ultima vocale ‘A’ su cui furono composte Sequenze poetizzanti. Questi canti, derivando dal giubilo dell’Alleluia, erano festanti e perciò, come l’Alleluia, venivano sospesi nella Messa del tempo di Settuagesima. Solamente in forza di uno speciale privilegio papale fu permesso, per esempio, ai Benedettini nel XII sec. di cantare una Sequenza il giorno di S. Blasio, dopo la settimana di Settuagesima, e così anche alla Candelora e all’Annunciazione.

Ma dopo che le Sequenze si trasformarono lentamente in canti autonomi in forma di inni, il nesso originario tra Alleluia e Sequenza fu dimenticato a tal punto da usare come Sequenze anche canti che evocano tristezza, come lo Stabat mater (“Stava la madre”) e il Dies irae (“Il giorno dell’ira”).

Il nostro Messale, riveduto nel XVI secolo, ha mantenuto solamente cinque Sequenze dall’immenso repertorio originario. Indubbiamente queste appartengono alla più magnifica, maestosa e meravigliosa creazione dell’arte poetica religiosa: sono varie nella colorazione, ma uguali nel profumo e inconfondibili nella fioritura della “poesia cristiana: quella poesia che sulla Terra canta il mistero del Cielo e che prepara il cuore ai misteri dell’Eternità” (Guéranger).

I loro autori “hanno dimostrato, in quei tempi dorati di preghiera, come degli uomini possano diventare la lingua – per così dire – della Chiesa ed esprimere i suoi più sacri sentimenti” (Wiseman). “Dio vuole che tutti i cristiani abbiano la Sequenza nel loro idioma, in forma così fine e amabile come essa lo è in latino”.

Wipo, cappellano alla corte di Corrado II e di suo figlio Enrico III nella prima metà dell’XI secolo, è l’autore della famosa Sequenza Victimae paschali laudes, che è un esempio del passaggio dall’antica forma a quella nuova. Egli è incline ad usare talvolta la rima; per quanto riguarda la struttura, egli mantiene una sezione iniziale, ma rinuncia ad una conclusione autonoma. La Sequenza della Pentecoste, Veni, Sancte Spiritus, è di un compositore a noi sconosciuto. S. Tommaso d’Aquino († 1274) ha composto il Lauda Sion. Il cantore francescano Jacopone da Todi († 1306) deve essere il compositore del bellissimo “Lamento di Maria”, lo Stabat Mater.

Il probabile cantore dell’immortale canto del Giudizio finale, il Dies irae – tradotto diverse volte in tedesco – è Tommaso da Celano († dopo il 1253), appartenente all’ordine dei Francescani, i quali vennero in Germania già nel 1221. Il poeta ha descritto in forma profonda e sconvolgente come sarà tremendo il Giudizio. All’epoca si aveva davanti agli occhi la spaventosa pestilenza, nominata “morte nera” o “grande morte”, che allora flagellava tutta l’Europa e veniva considerata come un castigo divino.

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