La “Rotonda” Vaticana: una grandiosa memoria

Michelangelo riprendendo per la nuova Basilica di San Pietro l’idea di Bramante di far dell’edificio un sistema centrale, ossia uno spazio in cui la predominanza dell’ambiente principale coperto da cupola si collegasse agli ambienti minori disposti intorno in senso radiale, incontrava i desiderata di Papa Giulio II (1503-1513). La pianta centrale, impiegata nell’edilizia cristiana fin dall’inizio per i martyria e i battisteri, fu largamente utilizzata nel Rinascimento e nel Barocco.
Il progetto di Michelangelo compone tre figure della geometria solida: il parallelepipedo, moltiplicato per quattro in forma di croce, il cubo e la sfera. La croce greca, data dall’unica navata a botte, iscritta nel cubo fuoriesce solo con le absidi. Le volte o le cupole minori ordinano gli spazi circostanti – deambulatori, cappelle, vestiboli – a quello centrale. Il martyrion aveva il suo fuoco nella tomba del martire: valga il ricordo dell’Anastasis a Gerusalemme con la tomba vuota. Anche la nuova Basilica, ha il suo fulcro nella Tomba di San Pietro, tomba che Michelangelo non vide mai poiché già del tutto velata dalle strutture d’onore. Gli furono guida nell’impresa le attestazioni di fede stratificate nella sequenza degli altari: bell’esempio di che cos’è Tradizione.
Gli scavi archeologici di Pio XII han messo in luce la tomba. Il luogo dell’inumazione di san Pietro segnalato, dapprima, da tegole di coccio, nel II secolo fu onorato dal trophaion di Gaio, trasformato nel III e inglobato nel IV nella memoria costantiniana. La tomba terragna del Pescatore di Galilea già contenuta nella basilica costantiniana, ora è celebrata dall’Altare della Confessione sovrastato dal baldacchino berniniano nel più imponete tempio della cristianità. Nel 1607 Paolo V (1605-1621), tornato all’idea di una pianta a croce latina, incaricato Carlo Maderno di abbattere (1609) le cinque navi ancora superstiti dell’edificio antico e di sostituirle con la costruzione di sei cappelle, ne mutò l’aspetto.
Oggi il pellegrino percepisce la centralità dell’impianto michelangiolesco solo quando arriva alla Confessione. Lì diviene perspicua l’idea del Fiorentino e le parole di Vasari manifestano la loro possa: Michelangelo «Ritirava San Piero a minor forma [di quella di Bramante], ma sì bene a maggior grandezza» (G. Vasari, Le vite. Vita di Michelangelo Buonarroti Roma 2003, p. 1235). Michelangelo per far della chiesa una gagliarda struttura a sostegno della cupola, rafforzò «i quattro pilastri principali fatti da Bramante e lassati da Antonio da S. Gallo che avevano a reggere il peso della tribuna» (ibidem). Prigioni, Titani a sostener il mondo i piloni sono un simbolo della cosmografia antica: i quattro angoli della terra e la volta del cielo, terra e cielo, quadrato e sfera, l’ordine della creazione, il cosmo. Ma i piloni sono anche reliquiari che serrano nel loro ventre le memorie della Passione del Signore.
Le mura degli edifici più imponenti si consolidano internamente con colate di bitume o altro materiale: similmente corroborante di questi piloni son le reliquie della Redenzione. Questa linfa che scorre nelle pietre è immagine di quella che dalla Croce scorre nel corpo mistico della Chiesa. Così i papi hanno inteso fortificare la chiesa di pietra, simbolo di quella spirituale, perché essa assicuri i fedeli sull’indefettibilità della Roccia su cui è fondata e che ha da resistere agli assalti dell’inferno.
All’esterno l’apparato scultoreo dell’edicola mostra la santità del luogo fino a non molti anni fa riparato anche con una scomunica. Da lì, il giorno stabilito, il Canonico ostende la reliquia. Il rito è antico: lo ricorda Dante: «Qual è colui che forse di Croazia / viene a veder la Veronica nostra, / che per l’antica fame non sen sazia» (Paradiso XXXI, 103-105). Le bianche colonne tortili dell’edicola, provenienti come le altre simili dalla pergula costantiniana, reggono il timpano curvilineo prezioso di marmi. Sopra e sotto l’edicola, gli angeli acclamano Vultum tuum deprecabo e trasportano in volo il Sacro Velo.
Nella nicchia sottostante sta la straordinaria statua della Veronica del toscano Francesco Mochi, benedetta con le altre da Urbano VIII nel 1640. Per la scala di lato si scende nella cappella. Gli altari dei piloni furono consacrati da Benedetto XIII nel 1727 e hanno per pale repliche musive di originali di Andrea Sacchi (1633-1634) ora nel Capitolo. Qui La Veronica asciuga il volto di Gesù; gli altri affreschi narrano la sua storia e quella della reliquia (XVII secolo).
Opposto al pilone del Santo Volto, è quello della Sacra Lancia o di san Longino. L’iscrizione ricorda la collocazione qui della reliquia del ferro con il quale il centurione trafisse il costato di Gesù (cfr. Gv. 19,34), donata a Papa Innocenzo VIII nel 1492 dal sultano turco Bajazet. Il conditorium ha il medesimo trattamento prezioso di quello della Veronica e le medesime finalità liturgiche. Gli angeli con il cartiglio annunciano Lancea latus eius aperuit e quelli sottostanti trasportano la lancia in volo. Nella nicchia sta il San Longino di Gian Lorenzo Bernini (1638). Il sacello sottostante ha sull’altare la copia del Martirio di San Longino e alle pareti gli affreschi delle Storie dell’invenzione della Vera Croce (XVII secolo).
A nord-ovest è il pilone della Vera Croce o di Sant’Elena. Collocata nel conditorium proviene da Santa Croce in Gerusalemme, dove ancora stanno altre reliquie della Passione rinvenute in Palestina dall’Imperatrice sant’Elena. Gli angeli in alto esibiscono il cartiglio con l’iscrizione In hoc vinces e quelli in basso il signum crucis: allusione al sogno di Costantino avanti la battaglia di ponte Milvio (312). Di sotto la statua dell’imperatrice di Francesco Bolgi del 1639. La cappella inferiore ha sull’altare la Sant’Elena e il miracolo della Vera Croce (1640) e una decorazione frescale, che indica la diversa destinazione iniziale della cappella, del XVII secolo con le vicende dell’arrivo della testa di sant’Andrea.
La reliquia della testa di S. Andrea – fratello di san Pietro anche nel modo del supplizio – era conservata nel pilone opposto a quello della Vera Croce, fin quando il Papa Paolo VI la donò alla città di Patrasso (1966). In pericolo per l’invasione turca del Peloponneso – l’Impero Romano d’Oriente era caduto nel 1453 – Pio II aveva ottenuto la reliquia da un discendente dei Paleologi nel 1462. La devozione della Chiesa romana per l’Apostolo, tuttavia è molto più antica e risale al V secolo.
L’Abate Guéranger spiega l’“atque Andrea” presente nell’orazione dopo il Pater della Messa – inserzione risalente già al V secolo – proprio con questa devozione (P. Guéranger, La Santa Messa). La consueta decorazione dell’edicola annuncia «Salve crux diu desiderata» ed esibisce lo strumento del supplizio.
Nel 1634 il Papa Urbano VIII editava nuovamente il Messale Romano. Il libro che serviva a dir Messa nell’orbe cattolico offriva di nuovo la liturgia del Papa come canone. Egli aveva nel cuore e negli occhi quanto avviene sull’Altare vaticano quando il Papa celebra, ma anche su ogni altare del mondo quando ogni vescovo e sacerdote celebra in comunione con lui. Dio ha posto Cristo come Capo del genere umano per ricomporre l’unità soprannaturale disgregata dal peccato: come tale Gesù si sostituisce a noi offrendosi in sacrificio.
Il sacrificio del Capo continua nelle membra di colui che Gesù ha messo a capo della sua Chiesa: Pietro e i Papi dopo di lui fino a Benedetto XVI. Il Papa è unito in modo speciale a Cristo Ostia del Giovedì Santo, al suo giorno di Pasqua e alla notte del suo Santo Venerdì, alla forza della Risurrezione ma anche alla debolezza del Sabato Santo. Ogni sacerdote che celebra in comunione con lui partecipa della solidità di quest’Altare.
Questo testo di Mons. Marco Agostini è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it