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La Quadriga dei cavalli marciani e il Bucintoro

Arte e Cultura14 Gennaio 2019
Testo dell'audio

I francesi rivoluzionari, sostenuti dai democratici italiani, non potevano certo lasciare intatta Venezia nella loro furia saccheggiatrice e distruttiva. Ma qui arrivarono perfino a rubare la quadriga di San Marco e a distruggere per puro sfregio il Bucintoro.

I sentimenti marciani del popolo emergono in un rapporto indirizzato agli Inquisitori di Stato alla vigilia della caduta della Repubblica. I suoi agenti segreti, che le restarono fedeli fino all’ultimo e avevano contezza di tutto quanto accadeva, riferivano di un vivace battibecco avvenuto al Caffé Florian, in Piazza San Marco, fra un nobilastro infatuato delle idee sovversive di Francia e il suo giovane barbiere.

Al primo, che decantava all’altro le meraviglie della libertà e del vivere sotto la Rivoluzione e che col nuovo governo anche un popolano come lui si sarebbe arricchito, l’altro umilmente rispondeva: “Io sono contento del presente sistema e vivere, né desidero novità”. E più il primo insisteva stizzito e offendeva il povero garzone, dandogli del matto e dell’ignorante, più quel buon giovane protestava “che lui è nato sotto questo Governo Serenissimo e sotto questo desidera morire”.

Venezia vittima della depredazione napoleonica

I giorni dell’occupazione francese di Venezia sono plumbei. Bruciato il Libro d’Oro della nobiltà veneziana; distrutto l’Arsenale, l’ottava meraviglia del mondo per i contemporanei (saccheggiato selvaggiamente perfino della canapa con cui si facevano le gomene); anche il Leone della piazzetta è portato a Parigi e collocato su una fontana in Piazza degli Invalidi.

Il furto dei cavalli di San Marco si consuma invece il 13 dicembre 1797. Per la prima volta, dopo sei secoli, la quadriga scende dalla Basilica nel silenzio addolorato della folla. Giunti via mare ad Ancona e poi a Livorno, i cavalli sono caricati assieme ad altri capolavori strappati all’Italia su una fregata fino a Tolone. Dieci battelli, navigando per canali interni, li trasportano a Parigi. Bonaparte vuole esibirli quale trofeo per celebrare la Campagna d’Italia.

Interessante anche la motivazione ideologica – affatto nuova – di questi furti. Per la Francia rivoluzionaria, l’Italia reazionaria e cattolica è indegna di conservare il patrimonio storico-artistico prodotto dalla bimillenaria civiltà classico-cristiana. Solo la Francia, il Paese dei lumi trionfanti sul dispotismo monarchico, sull’aristocrazia e sull’oscurantismo della Chiesa è la legittima depositaria di tali tesori, per trasmetterli all’umanità.

Dal 1802 al 1807 i cavalli sono sui pilastri della cancellata del Palazzo delle Tuileries, a Parigi. Nel 1807 sono posti sulla sommità dell’arco del Carrousel, appena costruito in onore di Bonaparte. Solo alla Restaurazione la quadriga – insieme a molti altri capolavori rubati (non tutti però) – torna a Venezia, per interessamento dell’Imperatore d’Austria e non senza resistenza dei parigini tumultuanti, tenuti a bada dai militari della coalizione antinapoleonica.

Dopo restauri, avendo perso nel viaggio le decorazioni dei collari, con solenne cerimonia sono rimessi sulla Basilica marciana il 13 dicembre 1815. Si è calcolato in 40 milioni di lire oro il furto dei rivoluzionari francesi dai forzieri della Serenissima, pari a 1.033 miliardi di euro di oggi.

I rivoluzionari distruggono il Bucintoro

Altra illustre vittima veneziana del vandalismo rivoluzionario è la grandiosa nave aurea dei Dogi, la Reggia acquea come veniva chiamata, il Bucintoro, parola di origine incerta. Fu costruito per la spettacolare cerimonia dello Sposalizio del mare con il suo immenso corteo acqueo durante la festa della Sensa e per altre occasioni ufficiali, come l’elezione del nuovo Doge o per ricevere importanti personalità.

Il Bucintoro. Fotografia di Carlo Naya, 1875.

Il primo Bucintoro è del 1311 (prima si usava una semplice galea). L’ultimo fu varato nel 1728: lungo 34 metri e largo 7,31, con equipaggio di 3 ammiragli, 40 marinai e 168 rematori a spingere i suoi 42 remi. Interamente decorato di stucchi dorati, velluti, specchiere, soffitti a cassettoni, era diviso su due piani: quello inferiore per i rematori, quello superiore per i passeggeri.

Il piano superiore era coperto da un baldacchino, così da formare una vasta sala rivestita in velluto rosso con 90 seggi e 48 finestre protette da cristalli e tendine di seta. A poppa sedeva il Doge, a prua troneggiava la statua della Giustizia.

Il 9 gennaio 1798, nove giorni prima che la città fosse liberata dai napoleonici a opera degli austriaci, i rivoluzionari francesi perpetrano l’ultimo sfregio alla Regina dell’Adriatico, Venezia. Nelle acque dell’Arsenale, già depredato, è distrutto il Bucintoro, il simbolo stesso della Serenissima. I preziosi intagli lignei di Antonio Corradini sono spaccati a colpi di accetta fin nei minimi pezzi e poi bruciati: i fregi che ornavano il simbolo della gloria e della potenza di Venezia ardono per tre giorni interi all’isola di San Giorgio, dove il misfatto si compie.

La carcassa, ribattezzata Prama Hydra e riattata a batteria galleggiante a difesa del Lido, verrà demolita nel 1824. Da anni sono in corso ammirevoli sforzi per tentarne la ricostruzione.

 

Questo testo di Salvatore Russo è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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