La musica e il tempo

Ricordo tempo fa, quando seguivo una trasmissione televisiva su un concorso per direttori di orchestra. C’era un giovane partecipante, che dirigeva l’orchestra come fosse un metronomo. Era un poco ridicolo da guardare, perché se si riduce la musica al battito del metronomo, si è capito molto poco della musica e anche del tempo stesso. Il tempo, è una convenzione che noi usiamo per poter vivere in modo più comodo e più confacente ai nostri bisogni. Il tempo nella musica non è la scansione regolare di certi battiti, ma è un moto interno che bisogna saper ascoltare, sapendo quando è il caso di trattenersi e quando il caso di affrettarsi. Il tempo nella musica è un qualcosa di vivo, un qualcosa di palpitante, qualcosa che non è mai lo stesso ad ogni esecuzione di quel pezzo.
Il metronomo è stata un’invenzione interessante, ma ha portato anche tanti problemi. Questo perché bisognerebbe far capire che il tempo indicato come riferimento per la velocità di un brano, è soltanto un riferimento. Questo non significa che bisogna eseguire un Adagio velocissimo o un Lento come se fosse un Presto. Ma significa che il tempo deve venir fuori dall’esecuzione stessa, pur avendo un’idea di un certo andamento che è confacente allo stile e alle caratteristiche del pezzo.
L’esecuzione musicale è un poco un’esperienza mistica, ci si trova in qualcosa che non si può descrivere a priori, che non si può inscatolare, catalogare, categorizzare in precedenza. Bisogna viverla, bisogna trovarcisi in mezzo, bisogna sentire sulla pelle quei suoni e cercare di reagire ad essi come è confacente. Bisogna essere parte di una tradizione, nulla si inventa, i grandi improvvisatori sono coloro che son già ben preparati. Quindi, il tempo in musica non è il tempo nel senso di scansione regolare come fosse quella di un orologio o di un metronomo, ma è un’esperienza interiore che va fatta per poter capire di cosa si sta parlando. Ma se molti sono i chiamati, pochi sono gli eletti.