La fuga dall’Islam e la morte, ma nessuno ne parla

Lo chiamiamo omicidio oppure delitto d’onore, ma per chi lo commette è una punizione necessaria, un atto doveroso nei confronti della famiglia lesa, per restituirle dignità e rispetto agli occhi dei parenti e della comunità. Quella islamica. Saman Habbas, 18 anni, pakistana, residente a Novellara, un comune della provincia di Reggio Emilia, era scomparsa quasi da un mese. Da qualche ora sappiamo con certezza che è stata barbaramente strangolata con la complicità dei familiari, persino della madre. Uccisa perché aveva deciso di rifiutare le nozze combinavate con un pugno in Pakistan.
Ecco l’integrazione che sognano gli immigrati musulmani in Occidente!
I genitori avevano già acquistato i biglietti aerei per raggiungere il paese d’origine dove il 22 dicembre si sarebbero dovute celebrare le nozze, ma Saman non era d’accordo. A ottobre si era quindi rivolta per aiuto agli assistenti sociali di Novellara. Subito era stata presa in carico, ospitata in una comunità e i suoi genitori erano stati denunciati con l’accusa di induzione al matrimonio.
Il Pakistan è un Paese islamico e, dove l’islam definisce le regole di buon comportamento, le donne, siano esse mogli, figlie, sorelle, non devono suscitare dubbi sulla loro modestia e sulla loro integrità fisica e morale intrattenendo rapporti inappropriati con uomini estranei alla famiglia.
Per il decoro e la stima famigliare si ritiene che i capifamiglia abbiano il dovere di vegliare sul comportamento dei congiunti, in particolare di donne e bambini, di punirli a discrezione se lo ritengono giusto. Una figlia che rifiuta un matrimonio combinato merita una punizione esemplare. Ai nostri occhi lei è la vittima, chi la punisce il colpevole. Viceversa agli occhi dei parenti di Saman, lei ha commesso un delitto, si è macchiata di una grave colpa, le vittime sono i suoi genitori e gli altri suoi famigliari sui quali ricade l’onta del suo comportamento.
Di casi come quello di Saman ce ne sono stati diversi in Italia. Sana con la famiglia era emigrata in Italia, a Brescia, poco più che bambina. Un giovane italiano che l’avrebbe sposata. Aveva 25 anni il padre e il fratello hanno deciso di fargliela passare una volta e per sempre: l’hanno sgozzata.
Hina Saleem. Pakistana anche lei, che all’alba dei suoi vent’anni venne barbaramente uccisa nel 2006 a Sarezzo, sempre nel bresciano. Anche Hina vestiva troppo all’occidentale e aveva un fidanzato italiano. Il padre, lo zio e i cugini la sgozzarono con un coltello da cucina (i carabinieri ne sequestrarono alcuni, almeno due erano sporchi di sangue), scavarono una buca in giardino, calarono il corpo dalla finestra e la seppellirono con la testa rivolta verso la Mecca.
“Libertà, libertà”, se ne riempiono la bocca un po’ tutti. Ma non è vero che c’è tutta questa libertà in Italia. Anche religiosa. Perché insieme a questi delitti d’onore ce ne sono altri legati all’apostasia e al sogno di scappare dall’islam. si muore di apostasia anche da queste parti. E vivere da apostati, vuol dire vivere nascosti, nell’incubo di entrare in una chiesa, nell’angoscia di farsi vedere pregare. Mi viene in mente la storia dell”anima clandestina’ di Rachida.
Rachida, un 35enne, marocchina, residente a Levante di Brescello era una donna che è stata massacrata con un martello che le ha ridotto la testa a cinque centimetri, davanti alle sue figlie, di 3 e 5 anni. Massacrata dal marito perché qualcuno della comunità gli aveva riferito di averla vista in ginocchio a pregare. Se non fosse stato lui ad ucciderla, l’avrebbe fatto qualcun altro della comunità, uccidendo il marito per primo per non aver saputo educare la moglie. Rachida ha subito una specie di fatwa perché pregava il Dio dei cattolici ed è stata abbandonata, come una reietta, per cinquanta giorni in un obitorio. Un corpo umiliato, che nessuno ha lavato, che nessuno ha coperto.