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La filosofia dell’inclusione

Analisi e commenti07 Giugno 2019
Testo dell'audio

Il 2 giugno, in Italia, la tradizionale parata militare per celebrare la festa della Repubblica è avvenuta nel segno dell’”inclusione”. Il tema della inclusività, che ha caratterizzato la manifestazione, bene rappresenta i valori scolpiti nella nostra Carta costituzionale, che sancisce che nessun cittadino può sentirsi abbandonato, bensì deve essere garantito nell’effettivo esercizio dei suoi diritti”, ha dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Lo stesso giorno a Blaj, in Romania, papa Francesco ha fatto un “mea culpa”, a nome della Chiesa per le discriminazioni subite dalla comunità Rom: “Chiedo perdono – in nome della Chiesa al Signore e a voi – per quando, nel corso della storia, vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata, con lo sguardo di Caino invece che con quello di Abele, e non siamo stati capaci di riconoscervi, apprezzarvi e difendervi nella vostra peculiarità“.

Nel corso della storia non ci sono tracce di persecuzioni o maltrattamenti dei Rom da parte della Chiesa, ma con queste parole papa Francesco ha voluto riaffermare quel principio di “inclusione”, di cui egli è oggi il teorico per eccellenza e a cui l’Unione Europea sottomette le sue politiche.

L’inclusione è un concetto filosofico prima che sociale: significa affermazione di una realtà ibrida, indistinta, ”meticcia”, in cui tutto si fonde e si confonde, come la teoria del gender, che è la teoria dell’inclusione per eccellenza. Le persone LGBT, come i migranti o gli indigeni del Sud America vanno accolti e rispettati non in quanto persone, ma per le culture e gli orientamenti che veicolano.

E’ questo il retroterra culturale del Sinodo che si aprirà in Vaticano il prossimo 6 ottobre. L’Amazzonia non è solo un territorio fisico, ma un modello cosmologico in cui la natura è vista come un tutto vivente che ha in sé un’anima, un principio di attività interno e spontaneo. Con questa natura impregnata di divinità i popoli indigeni dell’America latina mantengono un rapporto che l’Occidente ha perduto. La sapienza dei nativi va recuperata, chiedendo perdono per le discriminazioni commesse contro di loro, senza attendere che essi chiedano perdono per il cannibalismo e i sacrifici umani che i loro antenati praticavano. I ponti che devono sostituire i muri sono solo unidirezionali.

Questa cosmologia ricorda il Deus sive natura di Spinoza che predica l’identità di Dio con la sostanza infinita da cui tutti gli esseri derivano. Dio va incluso nella natura e la natura va inclusa in Dio, che non è causa trascendente, ma immanente del mondo, con cui coincide. Non c’è differenza qualitativa tra Dio e la natura, come non c’è differenza qualitativa tra le diverse società, religioni o culture, e neppure tra il bene ed il male che, secondo Spinoza, sono “correlativi” (Ethica, IV, prop. 68).

La dottrina dell’inclusione non è quella dell’Aeterni Patris di Leone XIII o della Pascendi di san Pio X, ma a questi documenti si oppone. Pochi però osano dirlo apertamente. Fino a quando durerà questo ambiguo silenzio, comodo a molti, ma soprattutto a chi se ne serve per raggiungere fini estranei a quelli soprannaturali della Chiesa?

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