«La fede mi ha sempre aiutato»

«Il bene si fa, ma non si dice!» o ancora «le medaglie si attaccano all’anima, non al petto»: sono parole che suonano strane in un’epoca dove vige la dittatura del buonismo “a gettoni”, delle azioni fintamente solidali finalizzate all’apparenza, all’esaltazione esteriore del benefattore.
Gino Bartali, eroe del ciclismo italiano e mondiale, epico vincitore di 3 Giri d’Italia e di 2 Tour de France, pronunciò quelle parole, oggi rivoluzionarie, al figlio Andrea.
Così fu riconosciuto “Giusto tra le Nazioni”
Gino, nel 1944, forte della sua fede cattolica, aveva rischiato la vita per sottrarre centinaia di concittadini ebrei alla minaccia delle persecuzioni nazionalsocialiste. Su richiesta del cardinale Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze, si adoperò per trasportare documenti segreti da Firenze alla basilica inferiore di S.Francesco in Assisi.
Quelle carte, ben nascoste nel telaio e nella canna della bicicletta, sarebbero difatti servite a fornire una nuova identità ai fuggiaschi ebrei, a salvarli dalle grinfie dei persecutori. Solo oggi l’impegno silenzioso e gratuito di Gino Bartali per il prossimo, in tempo di guerra, è stato reso noto al grande pubblico.
Israele ha riconosciuto Bartali, assieme al cardinal Elia Dalla Costa, “Giusto tra le nazioni”, per le vite di uomini e donne ebrei strappati alla morte tra il 1944 e il 1945.
Campione, sì… ma di fede!
Aldo Grasso, critico di costume e società del Corriere della Sera, in un articolo scritto il 24 settembre 2013 ricostruisce – in maniera volutamente fuorviante – il senso religioso dell’uomo Bartali all’interno della rivalità sportiva con Coppi: «Gino il pio è stato un uomo semplice, che per resistere alla classe e alla complessità psicologica di Coppi a volte ha dovuto farsi violenza, dotarsi di una corazza che lo ha reso più archeologico del dovuto».
Al di là dei pregiudizi terminologici, è bene ribadire la genuinità cattolica di Bartali: egli non aveva alcun bisogno di crearsi una personalità fasulla da contrapporre a Coppi, come ipotizza Grasso, tanto meno desiderava schermarsi dietro la fede come ad una maschera. La sua vita da buon cristiano, piena di opere di bene, vissuta nella donazione disinteressata di sé al prossimo, non era solo una scelta, o peggio, un ripiego, ma era lui, Gino Bartali, la sua storia, la sua famiglia, i suoi valori.
Il campione leggendario del ciclismo mondiale nacque nel 1914 a Ponte a Ema, frazione della provincia di Firenze, da una famiglia di contadini. Respirò da subito l’aria che animava la vita delle campagne toscane, la cultura sana delle radici e delle tradizioni religiose cattoliche.
A 10 anni si iscrisse all’Azione Cattolica: ci avrebbe militato tutta la vita, mobilitandosi direttamente per l’educazione cristiana dei giovani, prima contro la pretesa del fascismo di monopolizzare la formazione dei ragazzi, poi contro la minaccia comunista che attentava alla libertà religiosa ed educativa del popolo italiano. Conquistò la stima del leader cattolico Alcide De Gasperi e del presidente di Azione Cattolica, Luigi Gedda.
Partecipò alla campagna elettorale del 1948 contro il Fronte socialcomunista, ma il suo contributo più celebre e determinante venne dalle due ruote, quando con la vittoria insperata al Tour del 1948 tacitò il subbuglio dei militanti rossi, pronti alla guerra civile dopo l’attentato a Togliatti.
Bartali si distinse per la religiosità non solo in abiti civili, ma soprattutto sui pedali, tra le asperità delle gare in bici. I compagni di squadra lo descrivevano raccolto in preghiera all’inizio e alla fine di ogni tappa. E proprio al termine di un lungo raccoglimento, un amico ciclista chiese a Bartali per cosa stesse pregando, e lui rispose: «Prego per ringraziare la Madonna di avermi donato queste gambe e questi polmoni».
Entrò nell’Ordine Carmelitano come terziario, prese i voti nella chiesa di S.Paolo a Firenze, a suggello di una fede viva, testimoniata con orgoglio e fiducia. Ed è appropriato definire monacale lo slancio verso il bene e verso il prossimo operato da Bartali. Senza fanfare, senza protagonismi, come l’ultimo dei gregari. Ma con il Sacro Cuore di Gesu’ avanti a tutto.
Il ciclista della Provvidenza
Del resto non si spiega la grandezza di Gino, il ciclista della Provvidenza, se non alla luce di queste sue parole, quasi di una saggezza contadina: «La fede mi ha sempre aiutato. Per me fede vuol dire forza morale, una forza superiore a quella fisica». Eccolo il vero Gino Bartali. C’è molto di trascendente, di alto, di spirituale nell’avventura dell’eroe. C’è molto di cattolico e molto di tradizionale.
Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente e parlamentare del Pd, ha commentato così la proclamazione di Gino Bartali “Giusto tra le nazioni”: «Tra Coppi e Bartali ho sempre provato maggiore simpatia per il primo, coraggioso spirito libero ai tempi in cui è vissuto. Adesso ho saputo che Gino è stato nominato Giusto tra le nazioni. Nella nostra società abbiamo bisogno sia di Coppi che di Bartali». In realtà, abbiamo bisogno soprattutto di tanti Bartali…
Questo testo di Vittorio Vannucci è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it