La famiglia in due semplici domande

Per capire l’importanza del matrimonio non serve perdersi in parole. Basta porsi due domande fondamentali: “perché esiste la famiglia?” e “quali sono le caratteristiche principali della famiglia?”.
Perché esiste la famiglia
La famiglia non è un’invenzione dovuta a particolari congiunture storiche, bensì è una realtà naturale, che nasce con l’uomo e trova proprio nella natura umana la propria ragion d’essere. La ragione è facile da individuarsi: l’uomo è limitato e bisognoso di completarsi negli altri. Nessuno – se non lo sciocco o il folle – può credersi autosufficiente.
Ebbene, proprio perché l’uomo è segnato dall’interdipendenza, si può dire che la famiglia è il “luogo” umano dell’interdipendenza, del mistero dell’interdipendenza. Ma Cristo ha elevato il matrimonio a sacramento. L’ unico, tra i sette sacramenti, il cui ministro non sia il sacerdote, bensì i coniugi stessi. Ciò, proprio perché il matrimonio, prima di essere un dato riferibile all’ambito sovrannaturale, è già riferibile a quello naturale. Il matrimonio preesisteva alla Nuova Alleanza.
Le caratteristiche della famiglia
Diverse sono le caratteristiche principali della famiglia. Qui ne prendiamo due in considerazione: l’indissolubilità e l’apertura alla vita.
Anche l’indissolubilità è un dato di natura, dovuto appunto alla necessità per l’uomo di completarsi nell’altro. Ebbene, nell’ambito del matrimonio, pur dovendosi riconoscere un rapporto gerarchico tra marito e moglie (san Paolo è chiarissimo al riguardo nella Lettera agli Efesini), la monogamia (rifiutata non a caso dall’islam) consiste nel completarsi reciproco tra marito e moglie.
L’indissolubilità ha ragioni sul piano antropologico e su quello sociale, perché la comunità umana non è un semplice insieme di individui, ma lo è di famiglie. Ma c’è anche un altro motivo, oggi volutamente taciuto: il bambino soffre molto di più se i genitori si separano di quanto non accada nel caso uno dei due dovesse morire anzitempo. In caso di separazione il bambino inconsciamente mette in discussione se stesso, ritenendosi frutto di un amore ch’era meglio non ci fosse mai stato.
L’altra caratteristica è quella dell’apertura alla vita. I genitori non sono creatori ma procreatori, il che significa che essi partecipano ad un’azione creatrice, che è unicamente di Dio. La procreazione non è un atto né implicito, né scontato, né automatico, come comprovano i coniugi impossibilitati ad avere figli. Su questa verità poggia la condanna di qualsiasi contraccezione: Dio è Signore della vita, sempre. Gli sposi possono solo proporre, ma a disporre è unicamente Lui.
Due robusti pilastri
Il matrimonio, perno della famiglia, deve poggiare su due robusti pilastri: il primo è quello del riconoscimento del vero, il secondo quello della testimonianza del vero.
Il riconoscimento del vero si traduce nella centralità della preghiera. Solo ponendo Dio al centro si salvano i rapporti interpersonali, perché solo così l’uomo può fare vera esperienza della misericordia. La vita con Dio impone il riconoscimento della propria incapacità e quindi l’invocazione della Sua misericordia: nessuno può dirsi creditore nei confronti di Dio. Se si chiede a Dio di essere pazienti con se stessi, non si può non esserlo con gli altri. L’autodemolizione della famiglia è cominciata con l’eliminazione della preghiera in comune: solo pregando uniti, si può rimanere uniti.
L’altro pilastro è quello della testimonianza del vero. La vera educazione non è fatta solo di parole, bensì di una coerente testimonianza. La crisi dell’autorità genitoriale, che caratterizza i nostri tempi, si deve anche e soprattutto al fatto che i genitori non riconoscono visibilmente l’autorità di Dio, sottomettendo alla Sua legge il matrimonio e la famiglia.
Il noto teologo svizzero Von Balthasar rivelò un importante aneddoto della propria vita: un giornalista gli chiese quando avesse fatto la prima esperienza di Cristo e Von Balthasar disse di aver fatto la prima esperienza di Cristo in famiglia e soprattutto attraverso un piccolo ma significativo episodio. Lui aveva un papà, che difficilmente calava la testa dinanzi a qualcun altro; un giorno, camminando per il corridoio, vide la porta dello studio del padre socchiusa, sbirciò e vide il genitore inginocchiato dinanzi ad un uomo appeso ad una croce… «Da allora –confidò il noto teologo– iniziai a chiedermi chi davvero fosse quell’uomo, che riuscì a far inginocchiare mio padre».
Questo testo di Corrado Gnerre è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it