La dignità della persona

Ora la nozione di “persona”, ben più che la nozione di “essere umano” o di “uomo”, contiene la nozione di dignità o valore, come nell’espressione “È una persona, non una cosa”. In effetti, san Tommaso d’Aquino enuncia questo fatto nel modo seguente: con il nome di persona s’intende la dignità della persona.
Il pericolo insito nell’utilizzo dell’espressione “dignità della persona” risiede nel fatto che tale espressione è stata spesso intesa in senso umanista, ateo o impreciso. Di conseguenza sarà necessario definire il termine in modo esatto, prima di procedere ad applicarlo nelle situazioni concrete.
«La dignità significa la bontà di qualcuno per sé stesso, mentre significa l’utilità per un altro».
In virtù di questo fatto e in virtù del fatto che nel parlare comune la dignità definisce una qualità o una perfezione che distingue una persona da un’altra, consideriamo quale sia la bontà o perfezione particolare che distingue la persona. Chiediamoci questo per prima cosa riguardo alla persona in genere in relazione con altri enti, poi riguardo alla persona individuale in relazione con altre persone. Questo studio ci permetterà di specificare due forme principali di dignità che la persona possiede.
La dignità naturale dell’uomo
Consideriamo innanzitutto la perfezione naturale dell’uomo. La natura umana sorpassa le altre nature, cioè le nature inanimate e le nature animate che non possiedono l’anima spirituale, nella sua razionalità: in quella parte della sua natura cioè che consiste di un’anima razionale ed intellettiva. È questa razionalità che conferisce ad una persona la sua dignità ed è il motivo per cui l’essere umano è chiamato “persona”. Ora, l’eccellenza particolare della razionalità è il suo orientamento trascendente: l’intelletto e la volontà sono ordinati verso Dio come Essere sotto l’aspetto rispettivamente del Vero e del Bene.
Sulla base di questo orientamento san Tommaso spiega il senso in cui l’uomo è a immagine di Dio. Egli scrive che, se è vero che l’uomo è a immagine di Dio secondo la sua natura intellettiva, allora quanto più la sua natura intellettiva è capace di imitare Dio, tanto più egli sarà ad immagine di Dio. La sua natura intellettuale imita Dio al grado più alto attraverso l’imitazione della conoscenza e dell’amore di Dio per Sé Stesso.
Ci sono tre modi per cui questo è possibile.
Il primo è il seguente: conformemente al fatto che l’uomo ha un’attitudine naturale a conoscere ed amare Dio e questa attitudine consiste nella stessa natura della mente, che è comune a tutti gli uomini.
Questa prima forma di dignità, però, è affetta dal peccato, sia originale sia attuale. L’effetto del Peccato originale è che: dal peccato di Adamo l’uomo è privato dei doni gratuiti (soprannaturali) e ferito nella sua natura. Questo stato è conosciuto come lo stato di Natura caduta.
I doni soprannaturali consistono nella Grazia santificante (“assolutamente soprannaturale”), che rende possibile la visione beatifica; e nei doni (“preternaturali”) dell’integrità. Secondo san Tommaso e la maggior parte dei teologi, il ferimento della natura consiste nella perdita dei doni dell’integrità.
Questi doni comprendono la conoscenza infusa, la possibilità di non soffrire e di non morire e il dominio della ragione sulle facoltà inferiori (o, in altre parole, dell’anima sul corpo), come risultato dell’assoggettamento alla volontà a Dio. Adamo perse il primo di questi doni per sé stesso, dal momento che questo era un dono personale per sé ed i restanti doni per l’intero genere umano.
La perdita del dominio della ragione sulle facoltà inferiori è conosciuta come concupiscenza: cioè la difficoltà a conoscere il vero; l’indebolimento del potere della volontà; l’indietreggiare di fronte alla lotta per il bene; e la concupiscentia in senso stretto cioè il desiderio di soddisfare i sensi contro il giudizio della ragione.
Il ferimento della natura, allora, è la perdita dell’integrità e comprende la perdita del dominio della ragione sopra le facoltà inferiori (l’integrità nel senso stretto). La perdita di tale dominio può essere espressa come la perdita dell’inclinazione naturale dell’uomo verso la virtù o come un indebolimento dell’attaccamento da parte dell’uomo al Vero e al Bene.
Conseguentemente, la verità dell’esistenza di Dio e la moralità che, pur non sono inaccessibili alla ragione, hanno bisogno per necessità morale di far parte della Rivelazione, affinché siano conosciute da tutti prontamente, con certezza e senza mescolanza di errori. Inoltre, l’uomo è incapace di amare Dio come l’autore della natura più di sé stesso, o di sceglierLo come suo fine ultimo, senza il potere guaritore della Grazia divina.
San Tommaso analizza gli effetti del Peccato originale sulla dignità della natura umana. Egli conclude che questa dignità è diminuita a causa della perdita della Grazia santificante e dell’integrità, che comportano una diminuzione dell’inclinazione naturale dell’uomo verso la virtù; ma al contempo afferma che è conservata quella dignità che deriva dai princìpi della natura umana e dalle sue proprietà come le facoltà dell’anima.
Il Concilio di Trento riafferma questo punto riguardo al libero arbitrio. In generale, possiamo inferire che malgrado la Caduta, l’uomo possiede una dignità in virtù della sua razionalità, in particolare del suo orientamento radicale, sebbene indebolito, verso il Vero e il Bene o in altre parole verso Dio come l’Essere sotto l’aspetto del Vero e del Bene.
La dignità naturale della persona è diminuita non solo dal Peccato originale, ma anche dal peccato attuale. Tutte le persone che hanno raggiunto l’età della ragione (con l’eccezione della Beatissima Vergine) hanno peccato, dal momento che «se diciamo che non abbiamo peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1Gv 2, 8).
L’effetto del peccato mortale è quello di espellere Dio e la Grazia santificante dall’anima, se erano presenti, e di rendere l’agente uno schiavo del peccato, poiché «chiunque commette peccato è schiavo del peccato» (Gv 8, 34).
L’effetto del peccato veniale è quello di privare l’anima di nuove grazie. L’effetto di entrambi i tipi di peccato è quello di indebolire il controllo dell’agente sulle sue passioni, che poi lo inclinano ad altri e più grandi peccati.
Riassumendo, come afferma Papa Leone XIII (nella foto): «Se l’intelligenza aderisce a idee false, se la volontà sceglie il male e si attacca ad esso, né l’uno né l’altra raggiungono la loro perfezione, ma entrambe perdono la loro originaria dignità e si corrompono». In effetti, in un passaggio che riguarda la pena capitale, san Tommaso afferma che un criminale, attraverso il peccato grave, «perde la sua dignità» simpliciter, cioè malgrado il suo orientamento radicale verso il Bene ed il Vero, essendo tale la malizia del peccato: peccando, l’uomo si allontana dall’ordine della ragione e conseguentemente si allontana dalla sua dignità umana, nel senso che, essendo naturalmente libero ed esistendo per sé stesso, si abbassa in un certo qual modo nello stato servile degli animali, così che si può disporre di lui secondo il modo più utile agli altri […]. Quindi, sebbene sia un male uccidere un uomo che conserva la sua dignità umana, tuttavia potrebbe essere un bene uccidere un peccatore».