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La conclusione tropica di un Gloria

Liturgia02 Aprile 2020
Testo dell'audio

La conclusione tropica di un Gloria, per es., ha questa forma:

Tu solo senza colpa, togli le colpe degli altri.
poiché Tu solo Santo –
Tu che comandi alle stelle abbi pietà della nostra miseria.
Tu solo il Signore –
Tu che tutto sostieni e decori e tutto curi,
Tu solo l’Altissimo –
scrivi noi e la nostra preghiera nel libro del Cielo,
per Gesù Cristo con lo Spirito Santo nella
Gloria del Padre. Amen. (G. Dreves)

Con l’accumularsi dei tropi e delle Sequenze la liturgia eucaristica si allungò assai: una messa solenne poteva durare diverse ore. Tutilo († 898 o 915?), confratello e amico del Notker, non fu proprio il primo compositore di tropi, ma era certamente molto influente e, tra l’altro, di eccezionale robustezza fisica. Era considerato un genio universale: non solo fu musico e poeta, ma anche oratore, pittore, architetto, scultore e orefice. I tropi dei testi mobili della Messa si estinguono nel XII e XIII secolo, mentre gli altri, nelle parti immutabili, persistono in buona parte fino al XVI secolo. Il nostro messale, riveduto sotto Pio V, contiene ancora un chiaro divieto di un Gloria mariano molto popolare, ma tropizzato e con interpolazioni.

Assieme alle Sequenze “i tropi appartengono a quelle interessanti e caratteristiche produzioni medioevali della fede gioiosa e della poetica devozione” (P. Wagner). Essi avevano però qualcosa di incerto e dubbioso in relazione al testo base della Chiesa: per questo motivo non furono mai considerati parte integrante della liturgia ufficiale. Spesso s’incontrano in essi “pezzi della più tenera grazia e di valore molto artistico”. Dal punto di vista letterario ed estetico, tuttavia, numerosi tropi sono di esiguo valore. Nonostante ciò, “per lo sviluppo della poesia, della musica e della liturgia, essi sono altamente significativi e culturalmente molto interessanti” (E. Blume). Condussero infatti ai canti spirituali popolari; il carattere drammatico dei tropi, nell’Introito di Natale e di Pasqua, si sviluppò nel corso del tempo per giungere alle rappresentazioni di teatro e dei misteri spirituali.

Il più antico canto popolare tedesco preservato risale al IX secolo. Il canto religioso tedesco ebbe un importante risalto nel XII secolo; infatti, l’interesse per il canto di questo popolo divenne quasi proverbiale. Nel suo commento della predica sulla Croce di S. Bernardo, il monaco Gerard – all’inizio del 1174 – racconta tra l’altro: «Con preghiere e benedizioni del Santo, in quell’ora furono guariti quattordici ammalati. Per ogni guarigione il popolo esultava e la sua voce saliva al Cielo a lode di Dio: “Cristo, misericordia a noi. Kyrie eleison. I santi tutti ci aiutano”». Un altro compagno di viaggio di S. Bernardo, il monaco Gottfried, scrive al vescovo di Costanza: «Quando lasciammo il territorio tedesco, cessò il vostro canto “Cristo misericordia a noi” e non vi era nessuno che lo cantasse. I popoli latini infatti non avevano canti nella loro madrelingua secondo l’uso delle vostre genti». La lingua tedesca di quei tempi, ricca di vocali, era particolarmente adatta al canto.

Il prevosto Gerloh von Reichersberg († 1169) racconta che i combattimenti della seconda Crociata ridondavano della lode di Dio, e che in tutto l’impero Cristiano nessuno osava cantare canzoni immorali in pubblico. Anzi “annunciate a tutto il mondo la lode di Cristo anche in canti di lingua volgare, soprattutto tra i tedeschi la cui lingua è la più adatta per canti melodiosi”. Nella poesia di “Herzog Ernst” (tra 1173 e 1180) sono spesso menzionate le forme di canto lesene. Egli stesso cantava come se approdasse ad una riva:

Cristo Signore, Tu sei buono,
Aiutaci dunque per il Tuo sangue puro,
Per le Tue ferite sublimi,
Affinché un giorno ci si ritrovi felici,
Dov’è dolce la melodia degli angeli
Nel Tuo Regno. Kyrie eleison.

Un canto di battaglia era: “Cristo, Tu che sei nato”. I Crociati cantavano: “Aiutaci Dio e il Santo Sepolcro”. Un canto della Messa implora Dio Padre di avere pietà per amor di Suo Figlio che con Lui ha in comune la natura divina e con noi quella umana. L’inno “Ave, viel lichter Meeresstern” (Ave, Stella del mare di eccelsa luce) è la traduzione di una Sequenza latina. A conclusione delle festività pasquali, e delle recite sulla Resurrezione che avevano luogo nelle chiese, in certi paesi il popolo spettatore cantava “Christ ist erstanden” (Cristo è risorto); il canto dell’Ascensione “Christ fuhr gen Himmel” (Cristo ascese al Cielo) è altrettanto antico. I tedeschi cantavano volentieri durante i loro pellegrinaggi: si riconoscevano anche per i loro canti a gloria di Dio e dei Suoi santi.

Il domenicano Étienne de Bourbon (*1190 a Belleville; † 1261 a Lione) invita i pellegrini di altre nazioni a seguire il loro esempio “perché cantano di Dio, e non di altre cose frivole o cattive”. Alla partenza del pellegrinaggio cantavano “In Gottes Namen fahren wir” (partiamo nel nome di Dio). Già nell’anno 816 un sinodo di Aquisgrana definiva il senso di simili canti: “Il popolo dev’essere esaltato non solamente dalla solennità delle parole ma anche mosso a pensieri e sentimenti celesti con la soavità dei toni”.

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