La cappella del miracolo di San Filippo Neri

Fiorentino d’origine, si trasferì a Roma, dove decise di dedicarsi alla propria missione evangelica in una città corrotta e pericolosa, tanto da ricevere l’appellativo di “secondo apostolo di Roma”. Soleva riunire nel proprio Oratorio non solo i poveri figli della strada ma anche giovani di famiglia benestante, e persino figli di principi. Fra di essi vi era il quattordicenne Paolo, figlio del principe Fabrizio, della famiglia dei Massimo. Il loro incontro è legato ad un avvenimento miracoloso che portò alla canonizzazione del santo nel 1622 da parte di Gregorio XV.
Se i santi fossero giudicati dall’importanza dei miracoli compiuti, non vi è dubbio che san Filippo Neri dovrebbe essere considerato tra i più grandi. Ma lui, “Pippo bbono”, com’era chiamato dal popolo romano, non pensava di aver fatto niente di straordinario quando, in quel 16 marzo 1583, risuscita il quattordicenne Paolo Massimo, figlio del principe Fabrizio Massimo.
D’altronde, non era egli suo amico e confessore? E come poteva egli accettare che il ragazzo chiudesse gli occhi senza aver potuto parlare con lui un’ultima volta, senza aver sentito la sua ultima confessione, senza avergli potuto dare l’estrema unzione?
Il motivo era sufficiente: san Filippo, con la logica che solo i santi posseggono, implora l’intervento di Dio, certo in cuor suo di ottenerlo, e quel corpo ormai freddo ritorna alla vita per poi riaddormentarsi in grazia di Dio. La commozione sconvolse non solo la famiglia Massimo, divisa tra il dolore e la devozione, ma tutta la città di Roma.
Una profonda amicizia
San Filippo conosce quasi tutti a Roma dove vive ormai dal lontano 1534. La sua dimora a san Girolamo della Carità e poi a san Giovanni dei Fiorentini gli permette di frequentare spesso la famiglia Massimo il cui palazzo è poco distante.
Lui in realtà è di casa a Palazzo delle Colonne poiché è legato da profonda amicizia al principe Fabrizio al quale ha anche predetto la nascita di un figlio maschio. Ed è ciò che avviene nel 1569: il piccolo viene battezzato da san Filippo che gli impone il nome Paolo.
Ma la gioia dell’erede viene presto offuscata dalla prematura morte della madre, Lavinia de’ Rustici, e successivamente di una sorellina. Paolo stesso non è un ragazzo che gode di ottima salute. San Filippo consiglia finanche al principe Fabrizio di acquistare il castello di Arsoli con la speranza che l’aria buona del luogo possa giovare al piccolo Paolo.
La resurrezione
Il ragazzo non migliora ma anzi si ammala gravemente. Ormai sono più di due mesi che giace nel suo letto e san Filippo lo visita ogni giorno. Ma quel 16 marzo san Filippo sta celebrando la Messa quando lo avvertono della fine imminente.
Giunto però a casa Massimo, il ragazzo è già spirato. San Filippo è dispiaciuto di non aver potuto assistere Paolo negli ultimi istanti della sua vita e, commosso, si avvicina al letto del defunto.
Ma lasciamo al Bacci, biografo del Santo, descrivere la scena:
«(…) Entrò poi padre Filippo in camera dove stava il fanciullo morto, e si gettò sopra la sponda del letto facendo un mezzo quarto d’ora di orazione con la solita palpitazione del cuore e tremore del corpo; e poi prese l’Acqua Santa e la spruzzò sul viso del figliolo e gliene gettò alquanto in bocca; indi soffiandogli nel volto, con mettergli la mano sulla fronte, lo chiamò con voce alta e sonora due volte: Paolo ? Paolo? Alla cui voce il giovanetto subito, come da un sogno svegliato, aperse gli occhi, e rispose: Padre, e poi soggiunse: io mi ero scordato di un peccato, e perciò vorrei confessarmi. Allora il santo Padre fece scansare alquanto quelli che erano intorno al letto, e dandogli un Crocifisso in mano lo riconciliò.
Poscia ritornati tutti in camera si mise a ragionare seco, della sorella e della madre, le quali ambedue erano morte, durando il ragionamento per lo spazio di una mezz’ora, rispondendo sempre il giovanetto con voce chiara e franca, come se fosse stato sano, anzi gli tornò il colorito in volto, che a tutti quelli che lo guardavano, parea che non avesse avuto mal nissuno.
Ultimamente il santo Padre gli domandò se moriva volentieri: egli rispose di si. Interrogandolo Filippo la seconda volta se moriva volentieri rispose, parimenti, che moriva volentierissimo, massimamente per andare a vedere sua madre e sua sorella in Paradiso; onde il santo Padre dandogli la benedizione gli disse: va, che sii benedetto, e prega Dio per me.
E subito con un volto placido, e senza alcun movimento tornò a morire nelle braccia del santo Padre; stando presenti a tutto questo Fabrizio con due sue figliole, poi Monache in Santa Marta, e Violante Santacroce, sua seconda moglie, e la serva che gli assistea nella sua infermità, chiamata Francesca, ed altri”».
Un’amata tradizione
Il giovane Paolo fu poi sepolto nella cappella Massimo a Trinità de’ Monti, e la stanza da letto, dove avvenne questo fatto straordinario, fu trasformata in Cappella. Da allora, da quel 16 marzo 1583, ininterrottamente anche in periodo di guerre, pestilenze, carestie o occupazioni, nell’anniversario del miracolo, ogni 16 marzo, la Cappella viene aperta al pubblico e tutta la mattina ai tre altari si celebrano le Messe, soprattutto la speciale Messa votiva voluta dal beato Pio IX in occasione di una sua visita il 16 marzo 1847.
La commemorazione annuale del miracolo è appuntamento ormai caro a molti romani che frequentano in questo giorno, con altri visitatori, la camera del miracolo.
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Questo testo di Maddalena della Somaglia è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it