La bellezza, viatico per vivere i nostri giorni

Una volta un noto cardinale esclamò alla fine di un sinodo: “Perché quando parliamo di una questione pastorale passano gli anni e non ci mettiamo mai d’accordo, mentre se andiamo tutti insieme a sentire una sinfonia di Mozart, subito ci troviamo ad esclamare all’unisono la nostra ammirazione?”. È proprio così. Il grande S. Tommaso d’Aquino lo aveva già spiegato: fra quelli che egli – sulla scia di Aristotele – chiama i “trascendentali universali dell’essere”, cioè, fra il “vero”, il “buono” e il “bello”, è quest’ultimo il più facile da discernere.
È il bello che si impone per la sua immediatezza, perché piace subito alla vista o all’udito, perché nessuno ha bisogno di grande scienza per conoscerlo. Possiamo esserne certi: tutto ciò che, visto o udito, non causa diletto anche ai semplici, non è bello. Quello che invece continua a dilettare tutti nonostante il passare del tempo e nonostante le differenze fra i popoli, è sicuramente bello. Perché il bello è oggettivo, armonizza il creato col Creatore, si mette in sintonia con l’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio, il quale è somma bellezza, somma bontà, somma verità.
Proprio riguardo Mozart il grande violinista Uto Ughi raccontava, in una sua intervista di qualche anno fa, un episodio molto istruttivo: diceva che ogni tanto egli doveva portare nell’Amazzonia i suoi due pregiatissimi violini, se non sbaglio uno Stradivari e un Guarnirei del Gesù, al fine di fare assorbire al legno l’umidità di quell’aria. Di tanto in tanto egli saliva su di una piccola barchetta e si metteva a suonare le opere del grande salisburghese. Con vivo stupore vedeva accorrere sulle rive del fiume gli indios, attirati ed estasiati da quelle melodie che avrebbero voluto continuare ad ascoltare il più a lungo possibile. E Uto Ughi ne traeva la conseguenza corretta: è la prova dimostrata che certa musica ha un valore universale.
Se questa universalità del “bello” vale per tutti gli uomini in ogni tempo, nella musica di Chiesa la bellezza va sapientemente dosata con il senso del sacro, in modo da produrre quell’effetto di preghiera di lode e di petizione a Dio che costituisce la sua ragion d’essere. Sembra che dopo la stagione degli esperimenti più o meno fantasiosi, questa è una convinzione che ormai si impone nuovamente.
Qualcosa di analogo e parallelo si può dire su quanto vediamo con gli occhi. Anche le immagini, quando sono oggettivamente belle, parlano un linguaggio comune a tutti: il linguaggio del bello. Mai come ora esso diventa necessario di fronte all’assedio di immagini di orrore, di sangue, di mutilazioni, come se la realtà si fosse messa a scimmiottare la peggiore cinematografia hollywoodiana. Il bello autentico diventa un viatico e un balsamo che non ci evita le brutture dell’esistenza, ma che ci dà energia per superarle, ci fa sollevare lo sguardo, ci rasserena lo spirito e, a radicale differenza della droga, ci fa vedere con più lucidità la realtà delle cose.
È importante sapere da un così eminente intellettuale che, “oggi più che mai” (anche se in un certo modo è sempre stato così) l’immagine possa esprimere “molto di più della stessa parola”. Chi non ha ricevuto lezioni efficaci sulla fine della storia e l’ultima destinazione degli uomini alzando gli occhi verso i troni di gloria sui cui siedono negli absidi di Roma, Ravenna, Venezia, Monreale e Cefalù, quelle figure del Cristo Giudice, del Cristo Pantocrator, del Cristo benedicente la folla degli apostoli, degli anziani, dei martiri e delle vergini? Questa grande forza catechetica poi si ripete non solo nelle opere musive, ma anche negli splendori delle vetrate delle cattedrali, nella maestà della statuaria sacra, nei grandiosi affreschi, ecc.
Altrettanto si può dire dell’architettura sacra. La Chiesa è senz’altro il più grande custode della beltà esistente nel mondo. Proprio perché ha uno sterminato patrimonio e perché è dispensatrice della grazia può e deve essere la sorgente, nel solco della continuità, delle più svariate forme di ricchezza artistica anche nel futuro, che a loro volta si tradurranno in vere opere di evangelizzazione. Avere fede nella missione della Chiesa comporta anche avere fiducia in questa prospettiva. Forse non è facile spiegare a un “laico” che la Chiesa non si è arresa a nulla di erroneo perché essa rispecchia l’infinita perfezione del suo fondatore. Ma si sa, la Chiesa è fatta anche di uomini che sbagliano e, quindi, non sarebbe neppure facile negare che Portoghese offre con la sua denuncia qualche valido spunto di riflessione.
Questo testo di Juan Miguel Montes è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita radicicristiane.it