Kyrie

Dopo l’Introito, il sacerdote ritorna al centro dell’altare e lì prega il Kyrie eleison (“Signore abbi pietà”): alternandosi con il chierichetto, indirizza a Dio Uno e Trino un’insistente preghiera di misericordia. Il Kyrie è un semplice grido d’aiuto, struggente e umile, che sgorga spontaneamente dal cuore in difficoltà, nella sofferenza e nella tribolazione: perciò lo s’incontra in molti punti della Scrittura; ed è risuonato innumerevoli volte, con le mille voci del popolo, nelle processioni penitenziali.
All’origine – in Roma – il canto del Kyrie era cantato dal clero e dal popolo; in seguito, veniva eseguito alternativamente da due cori e proseguiva fin tanto che il celebrante non dava il segno di fermarsi. Più tardi, verso l’anno 900, l’implorazione della divina misericordia – per nove volte – fu introdotta nella liturgia Romana e divenne abituale.
Tutte le liturgie della Chiesa – Orientale e Latina – hanno il canto del Kyrie, in una forma o nell’altra. In principio si aveva il Kyrie come risposta dei fedeli ad un’implorazione pronunciata dal diacono. Verso la fine del V secolo fu separato dalla cosiddetta preghiera d’intercessione assumendo, nella Messa, un proprio uso e significato. Così, il Sinodo di Vaison (529) introdusse la ripetizione del Kyrie anche nella liturgia Gallicana.
“Poiché a Roma, e negli altri paesi d’Oriente e in Italia, è in uso pronunciare spesso, con grande devozione e compunzione, questa bella e sacra impetrazione – il Kyrie eleison – così abbiamo deciso anche noi che questa santa preghiera venga introdotta, con l’aiuto di Dio, in tutte le nostre chiese, alle Lodi, nelle Messe e nei Vesperi” (Can. 3). Di questo parla Fratel Bertold (+ 1272) nella sua spiegazione della Messa. Egli dice ai suoi uditori: “I laici dovrebbero cantare il Kyrie, e ciò andrebbe sempre bene”.
Il motivo per cui fu cessato questo esercizio egli lo imputa all’incapacità del popolo di cantare le melodie del Kyrie; perciò i chierici dovettero assumersi anche la parte dei fedeli laici. Nel Medioevo tedesco il Kyrie fu, e rimase, il più popolare e diffuso canto dei fedeli nelle processioni, nei pellegrinaggi, nei funerali, durante la consacrazione delle chiese, nell’esumazione delle spoglie dei santi, nelle feste di ringraziamento, nei campi di battaglia, durante l’andata e il ritorno dalla chiesa: insomma, in tutti gli eventi della vita. L’esclamazione popolare del “Kyrie eleison” divenne anche il ritornello di quasi tutti i canti di chiesa, come anche dei canti popolari religiosi tedeschi, da cui il loro appellativo “Leisen”. Un antico canto di Pentecoste, di Bertold da Regensburg, si chiama letteralmente “Kyrleis”.
La frequente ripetizione del Kyrie indica in generale l’insistenza, la perseveranza e l’invadenza con cui – consci della nostra peccaminosità e impotenza – imploriamo misericordia e aiuto; vi è anche celato un senso più alto e misterioso, in quanto il numero tre viene ripetuto esattamente tre volte. Le tre Persone divine vengono chiamate singolarmente e una dopo l’altra: per primo il Padre, con Kyrie eleison; poi il Figlio, con Christe eleison; ed infine lo Spirito Santo, con Kyrie eleison.
L’invocazione di ciascuna Persona divina viene ripetuta tre volte, per indicare che ogni volta s’implora simultaneamente – almeno virtualmente – anche le altre due poiché, in forza del mistero circuminsessio (ipostasi/comunione) Padre e Figlio e Spirito Santo sono e vivono eternamente l’uno nell’altro. Con un intento edificante, piuttosto che motivato da argomenti, si è voluto aggiungere altri significati alle nove invocazioni di misericordia: per esempio, in rapporto ai nove generi di peccato e di pericolo; oppure, il nostro espresso desiderio di essere uniti ai nove Cori degli Angeli.
Ciò che lo spirito e il sentimento possono, o dovrebbero pensare e sentire mentre si prega il Kyrie, ce lo dimostrano i numerosi “tropoi” (metafore o pleonasmi) con cui, nel Medioevo, si usava prolungare e abbellire questo canto. La nostra invocazione è diretta dapprima al “Padre Onnipotente, da cui procede ogni cosa”; poi a “Cristo, riflesso di Dio, la Potenza e Sapienza del Padre”; infine allo “Spirito Santo, che procede da Ambedue e che Li unisce nell’amore”.
E a queste suppliche, che rivelano l’essenza e la personalità di Dio Uno e Trino, si unisce – nella stessa sequenza – il ricordo dell’amorevole relazione con cui ciascuna delle Persone divine è venuta incontro a noi. Dio Padre, nostro Creatore, è invocato come “origine e fonte di ogni bene” per l’anima e il corpo che Egli illumina come “luce eterna”; Cristo, nostro Redentore, come la Parola “per cui tutto è stato creato e che ha rifatto nuovo l’uomo decaduto”; lo Spirito Santo, nostro Santificatore, come “brace che accende e fonte di vita che purifica”.
La conclusione di ogni invocazione esprime la relativa preghiera: per la salvezza e la grazia, per essere preservati dall’eterna dannazione, per la completa estinzione dei propri peccati e per essere rivestiti dei beni celesti. “O Padre Onnipotente, Tu luce e fonte della Luce, che con la potenza della Tua parola hai creato l’Universo – per il Genere Umano, gemente sotto il peso del peccato – mostra, o Signore, la Tua Misericordia”