Kateri Tekakwitha. La prima santa pellerossa

Il nome datole alla nascita fu Ioragode, che significa “splendore del sole”. Il suo soprannome fu “Tekakwitha” ovvero “persona che procede con le mani in avanti”: il vaiolo, infatti, oltre a privarla a soli quattro anni dei genitori e del fratellino, compromise la sua vista e solcò il suo viso con brutte cicatrici. Ma questo nome, nella lingua della sua tribù natia, vuol dire anche “persona che con le sue mani mette tutte le cose in ordine”. Il nome ricevuto col Battesimo fu, invece, Kateri, Caterina.
Prima indiana d’America, che verrà proclamata santa dalla Chiesa Cattolica. La sua presenza fu accolta come un modello, dai Padri della Missione di San Francesco Saverio, nel villaggio di Sault St. Louis, alla Prairie de la Madeleine, in Canada, dove fu trasferita, proprio per consentirle di progredire nel proprio itinerario di fede, davvero unico, speciale.
Anche per noi, oggi, rappresenta un esempio. Visse buona parte della propria esistenza in un contesto difficile, anche dal punto di vista spirituale: prima il padre, un capo tribù irochese, pagano, che “sopportava” la fede cristiana della moglie, educata dai coloni francesi; poi, rimasta orfana, lo zio cui venne affidata, fortemente contrario alla Chiesa e ai missionari: poi ancora i familiari, che con l’inganno e con le minacce cercarono in tutti i modi di spingerla verso un matrimonio combinato, quando aveva soltanto otto anni, età già da nozze, secondo gli usi della sua tribù.
Ma lei rifiutò, volle mantenersi pura per «Cristo, suo unico sposo». Tutto accolse con umiltà, docilità, dolcezza. Mai la sua fede venne meno. Nemmeno a causa delle feroci vessazioni, delle ostilità, delle incomprensioni, delle sofferenze, delle umiliazioni, dei lavori pesanti, che patì tra i suoi cari, nella sua tribù. Nemmeno d’inverno, quando la pratica della caccia, necessaria per la sopravvivenza della tribù, la conduceva lontano da casa e, soprattutto, da qualsiasi guida spirituale. Senza perdersi d’animo, proseguì col proprio programma di vita: lavoro e preghiera. E piccole croci, realizzate con ramoscelli.
Quando le trattative di pace tra la sua tribù, gli irochesi, e il viceré De Tracy, costrinsero gli indiani ad accogliere sui propri terreni i Padri missionari, per lei fu un dono grande di Dio. Ricevette segretamente il Battesimo la domenica di Pasqua del 1676, il 5 aprile: poi le fu amministrata la Prima Comunione già il Natale dell’anno successivo, fatto piuttosto insolito, poiché normalmente i neofiti indiani eran provati a lungo, prima di consentir loro d’accostarsi all’Eucaristia.
Nella Festa dell’Annunciazione, il 25 marzo del 1679, pronunciò voti privati di verginità perpetua. Tutti passi resi più semplici e immediati, naturali, dall’operazione compiuta da padre Jacques de Lamberville, che riuscì a trasferirla in missione, dove accrebbe rapidamente le virtù cristiane.
Ogni mattina Kateri si raccoglieva per ore in preghiera presso la chiesa oppure nella foresta, in solitudine, silenzio e meditazione, davanti a una croce, da lei stessa realizzata. Si sottoponeva a severe penitenze e cantava i vecchi inni religiosi, imparati da sua madre. Partecipava alle funzioni liturgiche, all’adorazione eucaristica, agli incontri promossi presso l’oratorio detto “della Croce”.
Ogni sabato era solita confessarsi «con un sentimento straordinario – come scrisse il suo direttore spirituale, Padre Cholenec – che non poteva venirle che dallo Spirito Santo. Si credeva la più grande peccatrice del mondo, per quanto ella fosse di un’innocenza angelica». Una fede granitica, insomma, fondata su quella carità che Kateri mostrò con docile e a un tempo concreta convinzione, insegnando le preghiere ai piccoli e assistendo con premurosa cura malati e anziani.
Ma la sua salute, già minata da piccola, era rimasta precaria: così, pochi giorni dopo aver compiuto 24 anni, si ammalò gravemente di tubercolosi. Il giorno prima della morte il Viatico le fu portato nella capanna. All’indomani, ricevette l’Unzione degli Infermi. Il 17 aprile 1680 morì santamente. Le sue ultime parole furono “Gesù Ti amo”. Pochi minuti dopo il decesso, i segni lasciati dal vaiolo scomparvero dal suo volto, che fu avvolto da una luce radiante. Fatto, questo, testimoniato da diversi presenti.
Kateri fu sepolta nella “sua” Missione, quella di San Francesco Saverio, ove aveva a lungo vissuto. Già Pio XII la proclamò venerabile il 3 gennaio 1943. Giovanni Paolo II la proclamò beata il 22 giugno 1980. Poi la canonizzazione con Benedetto XVI. Patrona degli orfani, degli esiliati, dell’ambiente e dell’ecologia, informò tutta la sua vita ad un motto: “Chi può dirmi ciò che è più gradito a Dio, affinché io lo faccia?”. Il suo cuore conosceva la risposta. E, ancora oggi, la può suggerire anche ai nostri cuori.
Questo testo di Mauro Faverzani è tratto da Radici Cristiane. Visita radicicristiane.it