IX domenica dopo Pentecoste

Se in questo giorno avessi conosciuto anche tu quello che occorreva per la tua pace!
Gli eventi riportati in questo passo del Vangelo si sono verificati la Domenica delle Palme. Una grandissima moltitudine di persone accoglie con gioia Nostro Signore a Gerusalemme, lodando Dio e agitando rami di palma. Ma Lui, scendendo dal Monte degli Ulivi, vedendo la città, pianse su di essa. È una delle due occasioni in cui gli Evangelisti ci parlano delle lacrime di Cristo; l’altra fu quando andò alla tomba del Suo amico Lazzaro. Questi due eventi ci mostrano come Egli sia pienamente umano. Gesù, il Verbo fatto carne, è tanto lontano dall’insensibilità quanto dal sentimentalismo.
Questi due dolori, per la morte di Lazzaro e per Gerusalemme, sono, mi sembra, insieme umani e divini. Cosa intendo con questo? Gesù Si addolora per Lazzaro come un uomo fa per un caro amico, per esempio, come una volta Davide pianse per la morte di Gionata. Questo è l’aspetto umano di quel dolore. Ma non Si dolse per Lazzaro anche come Creatore per la sua creatura? Il Signore fece l’uomo in principio, così glorioso e felice, e lo collocò in paradiso; ed ora eccolo, un cadavere in una grotta.
Allo stesso modo, il Suo dolore per Gerusalemme è sia umano che divino. Gesù previde che, dopo la Sua morte e Resurrezione, nel giro di una generazione, gli Ebrei avrebbero tentato una ribellione contro i romani che sarebbe stata tanto calamitosa quanto avventata. Molti di essi sarebbero morti in condizioni spaventose durante un lungo assedio, e infine il tempio stesso sarebbe stato raso al suolo. Questo accadde nel mezzo dell’estate dell’anno 70, motivo per cui la Chiesa legge questo Vangelo in questo periodo dell’anno. Prevedendo tutto questo con la Sua conoscenza profetica, il nostro Salvatore si dolse per la capitale del Suo popolo, come farebbe chiunque di noi se ci fosse rivelata la rovina finale del nostro paese. Perché il patriottismo fa parte della virtù della giustizia, e perciò Cristo lo possedette, e in sommo grado.
Eppure, questo dolore provato da Gesù ha anche un’altra fonte. Non Gli appartiene solo in quanto anch’Egli è figlio di Giacobbe, ma perché è Figlio dell’eterno Padre, e quindi è il Dio che ha stretto l’alleanza con Giacobbe. Molti secoli prima, aveva scelto gli Ebrei, i discendenti dei dodici figli di Giacobbe, per essere il Suo popolo. Li fece uscire dall’Egitto con mano potente, diede loro la Legge per mezzo di Mosè e la terra promessa per mezzo di Giosuè. Li separò da tutti i popoli del mondo, perché il loro stesso patriottismo li rendesse zelatori dell’onore di Dio, e perché fossero pronti ad accoglierLo quando sarebbe venuto in mezzo a loro come uomo. E diede loro Gerusalemme perché fosse, come suggerisce il nome, una città di pace, un’immagine del Cielo e il luogo sulla terra dove avrebbe dimorato la Sua gloria.
E ora, dopo tanti secoli, dopo tanti profeti e miracoli, prevede come tutto finirà. Venne tra i Suoi e i Suoi Lo respinsero; il che significa che i governanti del popolo non vollero cedere la loro autorità a quella del proprio Messia. Di conseguenza, Dio ritirò la Sua mano protettrice dalla città e, in quarant’anni, il grande tempio, orgoglio e gioia degli Ebrei di tutto il mondo, divenne un mucchio di cenere, mai più ricostruito, e il popolo fu condotto in schiavitù. Ecco perché, sebbene Nostro Signore possa piangere solo nella Sua natura umana, è come se piangesse anche come Dio. Quante volte avrei voluto radunare i tuoi figli, o Gerusalemme, come una gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e tu non l’hai voluto.
Ho detto che Egli previde come tutto sarebbe finito. Ma ciò che Egli previde è la fine del tempio e dell’antica alleanza. Non è la fine degli Ebrei, il Suo popolo secondo la carne. Gli Ebrei sarebbero stati preservati, per una specie di miracolo della divina provvidenza, senza patria e senza esercito, per diciannove secoli. Il Concilio Vaticano I ci dice che la Chiesa, con la sua continua esistenza e fecondità, testimonia la propria missione divina. Ma in un altro senso, il perdurare dell’esistenza del popolo ebraico, in un modo umanamente inesplicabile, testimonia la sua elezione originaria e la verità dell’Antico Testamento. Gesù Cristo predisse questa sopravvivenza del Suo popolo attraverso i secoli nello stesso tempo in cui predisse la distruzione del tempio: Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; e Gerusalemme sarà calpestata dai pagani, finché sia compiuto il tempo delle nazioni.
Dinanzi a queste misteriose profezie e al loro compimento, ogni cristiano deve sentirsi incitato a pregare per questo popolo. Dobbiamo sentirci incitati a pregare non solo dalla compassione per le loro tante sofferenze nel corso dei secoli, ma anche e soprattutto dalla gratitudine. San Paolo ci dice che i gentili sono come un ramo di oleastro, innestato su un albero di olivo. Non solo Nostro Signore era Ebreo secondo la carne, ma anche la Madonna e gli Apostoli e tutti i primi cristiani. Le Scritture che essi citavano erano ebraiche, e ancora oggi noi religiosi passiamo molto tempo ogni giorno a recitare o cantare le più grandi opere della poesia ebraica, i Salmi. In tal senso, ogni volta che una persona di origine ebraica viene battezzata ed entra nella Chiesa cattolica, entra nella propria casa, come il figliol prodigo che torna dal padre.
Com’è triste, quindi, che ai nostri giorni, quando molti vecchi pregiudizi sono stati abbattuti e gli Ebrei, in numero maggiore che in passato, hanno iniziato a riconoscere Gesù di Nazareth come il Messia d’Israele, sentiamo voci all’interno della Chiesa che dissuaderebbero loro dalla conversione. È un errore nuovo, che non esisteva nei tempi passati: l’errore secondo cui gli Ebrei non hanno bisogno del cristianesimo, ma si salvano credendo nell’antica alleanza. È stato giustamente definito il più antisemita degli errori, poiché cerca di allontanare il popolo ebraico dal suo Salvatore e da tutti i sacramenti della vita eterna che Egli ha portato sulla terra. Eppure, non è un errore raro: l’ho riscontrato anche tra religiosi la cui congregazione è stata fondata per pregare per la conversione di questo popolo a Cristo.
Certo, ci sono molte buone intenzioni per cui pregare: questo è uno dei vantaggi di vivere in tempi difficili: non ci mancano mai le parole quando ci rivolgiamo al buon Dio. Ma vorrei invitare tutti voi ad avere come intenzione di preghiera la conversione di questo popolo, caro a Dio, come dice san Paolo, a causa dei suoi padri.