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Il vero Sacrificio

Liturgia19 Agosto 2018
Testo dell'audio

Non ogni offerta che viene fatta a Dio è anche un sacrificio: ciò dipende particolarmente dalla forma e dalla maniera dell’offerta. Affinché essa diventi un sacrificio, dev’essere in qualche modo sensibilmente mutata. Una trasformazione dell’offerta è dunque essenziale al concetto di sacrificio: essa rappresenta la forma fisica del medesimo. Ciò che non può essere modificato con un atto liturgico non può nemmeno essere un vero sacrificio (sacrificium), ma una semplice offerta (oblatio) religiosa, che è essenzialmente diversa dal sacrificio.

Perciò incontriamo sempre in tutti i sacrifici della Sacra Scrittura una forma di dissoluzione in conformità alla natura della materia sacrificata. Così la vita degli animali sacrificati veniva distrutta tramite la macellazione e il sangue sparso sull’altare, l’incenso consumato nel fuoco e il vino effuso. Il motivo intrinseco e profondo del perché sia necessaria una tale trasformazione ovvero distruzione dell’offerta risiede nel significato specifico del sacrificio.

Il sacrificio, cioè la trasformazione dell’offerta per sacrificarla, deve rappresentare simbolicamente l’assoluto diritto di proprietà e la più alta sovranità di Dio su tutte le cose; come pure il sacrificio deve rappresentare che l’uomo dipende in tutto da Dio, Gli appartiene e Gli è sottomesso, vale a dire Gli è debitore, disposto a consacrarGli e a offrirGli la vita. Dio è la Maestà eccelsa e santissima, la fonte originaria di tutte le cose, è la meta ultima a cui tutto dovrà ritornare, affinché “Egli sia tutto in tutti” (1Cor. 15,28).

Come si può da una parte esprimere più adeguatamente la sublimità e sovranità di Dio su tutto ciò che esiste e che può esistere al di fuori di Lui, dall’altra dimostrare con più chiarezza anche la dipendenza e la servitù dell’uomo, se non attraverso il sacrificio, dove una cosa sensibile viene offerta e consacrata a Dio al posto della vita umana per essere in qualche forma annientata e distrutta?

Se il rito esteriore del sacrificio vuole veramente incorporare il significato indicato ed essere gradito a Dio, allora deve anche essere espressione interiore o spirituale del medesimo, deve cioè essere animato e vivificato da una vera disposizione al sacrificio. “Il sacrificio visibile – dice S. Agostino (nella foto, la più antica immagine di S. Agostino, risalente al VI secolo, in un affresco nella basilica del Laterano) è un segno sacro del sacrificio invisibile”. A suo parere, l’aspetto esteriore della celebrazione è come un simbolo e, allo stesso tempo, il frutto dell’adorazione interiore di Dio. L’essenza della vera adorazione di Dio non consiste in esteriorità vuote e meccaniche, bensì nell’intima disposizione e nel sentimento che accompagna la funzione esterna e la rende preziosa e devota davanti a Dio.

Dio, il Signore di tutte le creature, non ha bisogno dell’esteriorità nelle offerte dei sacrifici: perciò non li gradisce quando all’offerente manchi lo spirito di sacrificio. L’esteriorità deve stare in sintonia con il sentimento interiore così come nella preghiera. Non solamente l’esecuzione esteriore del sacrificio, ma anche l’unione del cuore con esso attira la divina compiacenza e fa scendere le grazie, la protezione e la benedizione di Dio sugli offerenti (vd. Sal. 49,7-16).

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