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Il vero messaggio cristiano delle catacombe

Arte e Cultura14 Gennaio 2021
Testo dell'audio

Con la parola “catacombe” s’intende spesso un’epoca della storia; i primi tre secoli della Chiesa, quando i cristiani furono perseguitati, fino a che l’Editto di Milano dell’imperatore Costantino (313 d.C.) diede loro piena libertà di praticare e diffondere la propria fede. I cattolici progressisti contrappongono la Chiesa delle catacombe, povera e sofferente, alla Chiesa costantiniana, potente e conquistatrice. Su questa linea il 16 novembre 1965, qualche settimana prima della conclusione del Vaticano II, venne firmato da 42 Padri conciliari, nelle Catacombe di Domitilla, un «Patto per una Chiesa serva e povera», di impronta filo-comunista. Il «Patto delle Catacombe» è stato pubblicamente commemorato il 20 ottobre 2019, nello stesso luogo, da un gruppo di vescovi e laici, che hanno proposto alla Chiesa un nuovo «Patto delle catacombe per la casa comune. Per una Chiesa dal volto amazzonico, povera e serva, profetica e samaritana». Il patto socio-politico degli anni Sessanta è divenuto così il patto socio-cosmico dell’era di papa Francesco e Greta Thunberg.

Dal lato opposto alcuni conservatori hanno elaborato una “filosofia delle catacombe”, secondo cui, di fronte al nemico che attacca, non si dovrebbe combattere, ma nascondersi, come fecero i cristiani dei primi secoli, che si sarebbero rifugiati nelle catacombe per sfuggire alle persecuzioni. In realtà i primi secoli della Chiesa furono un’epoca di persecuzione e di martirio, ma furono, proprio per questo, un’epoca di lotta, condotta prima dagli Apostoli e poi dai loro successori per adempiere al mandato di Cristo, che era quello di diffondere apertamente il Vangelo fino ai confini della terra. La Chiesa dei primi secoli non fu una Chiesa nascosta o clandestina; i cristiani erano conosciuti come tali, le autorità (vescovi, sacerdoti, diaconi) erano note, le idee erano manifeste.

I cristiani vivevano nelle proprie famiglie, esercitavano le proprie professioni, pagavano le tasse, servivano nell’esercito, rispettavano le leggi e pregavano per il potere costituito, ma non veneravano l’Imperatore e non erano disposti a sacrificare agli idoli pagani. Questa fu la ragione per cui essi furono giudicati “nemici dello Stato” (hostes publici) e perseguitati. Le catacombe non erano luoghi nascosti dove i cristiani si nascondevano, ma cimiteri, aree sepolcrali dove venivano sepolti. Il diritto romano, infatti, riconosceva indistintamente a tutti lo Jus sepulchri, anche ai condannati, le cui spoglie il giudice poteva far consegnare a chi le richiedesse per la sepoltura.

Il termine catacombe viene dal greco katà (presso) e kumbas (luogo profondo) e nasce dal fatto che, all’inizio del terzo secolo, un gruppo di cristiani ottenne di scavare in una depressione del terreno della via Appia, regina viarum, una rete di gallerie sotterranee per stabilirvi un cimitero. Tutta la zona era chiamata “presso la valle” e il nome “catacombe” viene dunque dall’aspetto del luogo. Qui fu deposto il martire san Sebastiano e, fin dall’anno 258, si venerava una memoria degli Apostoli Pietro e Paolo. Dopo il IV secolo la parola catacombe venne a indicare genericamente i cimiteri cristiani, dove i defunti attendevano nella terra il supremo risveglio. Il dogma della resurrezione, che costituiva il fulcro della fede della Chiesa nascente (I Cor. 15, 5-8), era uno dei concetti più difficili per i pagani, così come ci attesta Tertulliano (De resurrectione carnis, 2: Migne, PL 2, 843).

Lo sviluppo delle prime comunità cristiane di Roma è documentato dal moltiplicarsi dei loro cimiteri sulle vie consolari. Le catacombe di San Callisto, sulla via Appia, come quelle di San Sebastiano, furono il cimitero ufficiale della Chiesa di Roma nel III secolo. In esse furono sepolti circa mezzo milione di cristiani, tra cui centinaia di martiri e sedici pontefici. Il loro nome viene dal diacono che, all’inizio del III secolo, fu preposto da papa Zeffirino (199-217) «custode e amministratore della catacomba» (cfr. Antonio Baruffa, Le catacombe di San Callisto. Storia-Archeologia-Fede, 5ª ed., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2004). Nella prima metà del III secolo, inoltre, Roma fu suddivisa in sette regioni ecclesiastiche. Ad ognuna di esse vennero assegnati luoghi di culto e diverse catacombe per la sepoltura dei cristiani. Aumentavano le gallerie, ma essendo limitate le aree in superficie, si aprivano nuove scale per discendere ancora più profondamente nel terreno.

Un prezioso calendario illustrato, denominato il Cronografo dell’anno 354, contiene due elenchi detti depositio Episcoporum depositio Martyrum, in cui, con esatte indicazioni topografiche, vengono indicati i luoghi e i giorni delle commemorazioni liturgiche dei martiri cristiani. Tra i cimiteri cristiani di Roma vengono nominati quelli di Balbina, Bassilla, Massimo, Ponziano, Pretestato, Trasone, corrispondenti a nomi di privati cristiani, i quali avevano posto a disposizione dei fratres la loro area sepolcrale di famiglia. Fin dalla prima predicazione, infatti, il Vangelo era penetrato in alcune famiglie nobili e ricche, che divisero caritatevolmente le proprie tombe, abbastanza ampie per accogliere la loro nuova parentela spirituale.

Roma ospita quasi in ogni cimitero i testimoni della fede cristiana: martiri sono coloro che resero testimonianza a Cristo con il sacrificio della vita, confessori coloro che proclamarono la propria fede, ma si salvarono.

È stato detto che i cimiteri cristiani di Roma sono il monumento più insigne della carità esercitata dalla primitiva comunità. Tertulliano scriveva nel suo Apologeticum che la comunità cristiana raccoglieva le offerte spontanee dei fedeli (egenis alendis humandisque) e Ippolito, che dedica un intero paragrafo della sua Apostolica Traditio ai cimiteri, raccomanda di non imporre una tassa troppo forte per la sepoltura, perché il cimitero appartiene a tutti i poveri e il vescovo deve mantenere coloro che hanno cura di questo luogo, affinché non siano a carico di coloro che vi vengono deposti. Lattanzio dichiara a sua volta: «Noi non tollereremo mai che una creatura fatta ad immagine di Dio sia gettata in pasto alle fiere o agli uccelli di rapina, ma la restituiremo alla terra donde è stata tratta; anche per uno sconosciuto adempiremo all’ufficio che toccherebbe ai suoi parenti, perché in mancanza di essi subentra la carità» (Divinae Institutiones VI, 12: Migne, PL 4, 682).

 

Questo testo di Roberto de Mattei è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it

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