Il Tesoro di san Gennaro

Se l’arte è uno dei più potenti mezzi per esprimere il Bello, allora una mostra come quella che presenta alcuni dei più ricchi e preziosi tesori dell’arte orafa, e non solo, può offrire ai visitatori un eccellente paradigma del senso estetico raggiunto dall’espressione artistica, quando è anche cristianamente devota.
Essi rappresentano infatti la cultura estetica della nostra cristianità attraverso i doni di papi, imperatori, re, ma anche grazie ai doni del popolo dei fedeli, ex voto offerti a san Gennaro fino a costituire, con il tempo, un vero e proprio “tesoro”: espressione particolare di preghiera e testimonianza storica di raro valore.
La mostra espone in sei sezioni un’antologia del cosiddetto “tesoro del popolo”, il popolo dei fedeli, ossia il tesoro di san Gennaro, descrivendo così sette secoli di arte orafa partenopea. Le prime sezioni offrono alcuni esempi di un’arte cresciuta all’ombra della civiltà napoletana, all’ombra del Vesuvio insomma; poi il percorso entra in contatto con la realtà della devozione partenopea, con i suoi riti e simbolismi, per concludere con i più preziosi gioielli della collezione e con l’inestimabile esempio della fede, ossia il miracolo di san Gennaro, rappresentato dal reliquiario del sangue.
La storia di san Gennaro è indissolubilmente legata a quella di Napoli, tanto da portare a una sovrapposizione tra le caratteristiche del santo e lo spirito del popolo partenopeo, che da sempre si appella al suo protettore chiedendo aiuto contro incombenti pericoli, come per l’appunto l’eruzione «del formidabil monte sterminator Vesevo», per usare le parole di Giacomo Leopardi (La Ginestra).
Gennaro nacque nella seconda metà del III secolo a Benevento o a Napoli (le fonti infatti riportano entrambe le città), giungendo a ricoprire la carica di Vescovo di Benevento sotto l’imperatore Diocleziano all’inizio del IV secolo. Durante le persecuzioni fu imprigionato e condannato a morte ma, nell’anfiteatro di Pozzuoli, i leoni invece di sbranarlo si sottomisero a lui, secondo quella che è la tradizione più amata e tramandata. Stando invece a quanto riferiscono gli Acta Bononienses (VI secolo), il programma dell’esecuzione fu mutato in una più semplice decapitazione, essendo partito lo spettatore d’onore, il governatore della Campania.
Il canonico napoletano Paolo Regio, autore delle Vite de’ sette santi protettori di Napoli, testo rinvenuto nel 1579, racconta che una pia donna di nome Eusebia raccolse il sangue del santo dalle ferite, conservandolo dentro due ampolle. Il culto di Gennaro si diffuse rapidamente fin dal V secolo, e sia le ampolle, sia i leoni accompagnarono la sua immagine nella storia dell’arte. Ancora oggi tre volte l’anno il sangue viene portato in processione, con la speranza che si sciolga in segno di buon augurio. Ancora oggi la figura di san Gennaro è strettamente connessa con la storia e la vita della città.
Il 13 gennaio 1527 i napoletani, con voto a san Gennaro, firmarono un documento che li incaricava di costruire una cappella dedicata al protettore di Napoli, chiedendo la fine della guerra tra Francia e Spagna e la salvezza dall’eruzione del Vesuvio e dal flagello della peste, che imperversava nella città. I rappresentanti eletti dal popolo, assumendosi l’impegno dei lavori per la cappella, fondarono una istituzione laica, indipendente dalla Chiesa. Tale Deputazione è tutt’oggi esistente e vitale, commissiona opere d’arte e custodisce quella che è attualmente la Cappella del Tesoro di san Gennaro, nel Duomo di Napoli.
La Deputazione, grazie al contributo popolare, costruì la Cappella in cui, oltre alle sacre ampolle con il sangue, confluirono le innumerevoli donazioni in onore del Santo, realizzate già dai primi del XIV secolo: arte e devozione si mescolarono da subito nel luogo dedicato a san Gennaro, formando uno dei tesori più importanti del mondo. La direzione dei lavori nella Cappella fu affidata all’architetto Francesco Grimaldi all’inizio del XVII secolo; il pittore e architetto Francesco Solimena progettò l’altare maggiore in porfido nel 1667. Tutt’intorno alle pareti della Cappella una teoria di diciannove statue in bronzo (molte delle quali scolpite da Finelli, un allievo di Bernini) dialoga con la statua del santo seduto, posta al centro dello spazio. L’altro polo d’attrazione è il magnifico busto reliquiario del santo, risalente al 1305, opera di tre artisti orafi provenzali, che fu donato da Carlo II d’Angiò.
Attraverso le guerre e i saccheggi, l’incomparabile collezione delle opere donate al santo protettore è ancora integra e conservata oggi nel Museo del Tesoro di san Gennaro, fondato dieci anni fa a Napoli. All’interno di un percorso, che si snoda tra le sale espositive del museo, attraverso la Cappella dell’Immacolata e quella di San Gennaro, fino a giungere nell’ambiente intimo della Sagrestia, le opere d’arte sono raccolte per tipologia, creando un forte effetto scenografico: si passa dagli arredi liturgici quotidiani ai sontuosi parati d’altare e alle statue e busti reliquiari, che venivano portati in processione durante alcune festività.
Questo testo di Michela Gianfranceschi è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it